1980 luglio 28 La Simeoni ironizza su se stessa «Tanto per cambiare ho pianto»

1980 luglio 28 – La Simeoni ironizza su se stessa «Tanto per cambiare ho pianto»
Nella storia delle Olimpiadi è la seconda medaglia d’oro dell’atletica femminile
italiana
Il successo di Mosca corona una carriera di vittorie – La veronese presto si sposerà

Dall’inviato
MOSCA – C’era una volta una ragazza bolognese, di appena vent’anni, che correva
gli 80 metri a ostacoli. Si chiamava Trebisonda e quel nome wagneriano non lo
sopportava proprio, tanto che ancora ragazzina se lo cambiò con un altro tolto dal
salso e dal mare: Ondina. Ondina valla vinse l’oro a Berlino, nel 1936, all’olimpiade
della svastica. Fino alle 19 e 30 di sabato scorso era l’unica vittoria dell’atletica
femminile italiana nella storia dei Giochi.
La seconda, prima dell’intero dopoguerra, l’ha ora formata sui verbali del giudice di
gara del salto in alto Sara Simeoni, a Mosca, in quella che un trafelato radiocronista
cubano ha definito in diretta con L’Avana «a olimpiade do socialismo».
Gli esperti discutono di rincorsa lunga. Sara ha vinto perché ha disinnescato la bomba
emotiva e perché è da sempre la più brava, argento, oro, record mondiale, record
olimpico, una carriera in ascensione verso l’ultimo appuntamento: «se non vinco ora,
non vinco più» aveva detto.
Studentessa di matematica e fisica, l’ungherese Matay è crollata subito, una
straordinaria angoscia sul volto. La polacca Kielan ha perso lo slancio dei suoi
vent’anni di colpo, come di fronte a un improvviso muro.
Sara ha capito di aver vinto quando l’asticella ha respinto la tedesca dell’Est
Rosemarie Ackermann, commessa in un magazzino di tessuti, asso come lei, diversa
soltanto perché l’italiana passa sopra con la schiena, la tedesca con il ventre, secondo
uno stile quasi desueto.
Un giro di cerotto sotto il ginocchio sinistro, la gamba destra tormentata dalle vene
varicose, Rosy si è arresa a 28 anni, gli occhietti umidi e sereni, di una compostezza
struggente, perché tanto chiara e misurata. «Adesso voglio due bambini», ha spiegato
più tardi.
Sara Simeoni si è portata sopra l’asticella alcune virtù di un Veneto tipico, solido e
senza miti. «Sono testarda» dice di sé mentre le lunghe mani affusolate tormentano
un anellino d’oro donatole dal suo Erminio Azzaro dopo il record mondiale di
Brescia. Testarda e di tempra, capace di resistere alle nevrosi dei super-allenamenti,
dei super-ritiri, delle super-città, lei che è di Rivoli Veronese e che sta riadattando un
cascinale a casa per tornare a viverci tranquilla, dietro un orizzonte di colline, di viti,
di Bardolino.
La sua commozione non è sdolcinata ma profonda, un lasciarsi andare di timida in
piazza, che lei stessa rivede con ironia: «Tanto per cambiare, ho pianto!», e sorride di
gusto, campionario di emozioni oltre che di centimetri sottratti con le unghie alla
forza di gravità.
É bello conoscere Sara Simeoni. Ci sono campioni che ammiri, ma che non ami. A
Sara Simeoni ci si affeziona.