1980 luglio 29 Giacomini k.o. dal Moser dell’Est

1980 luglio 29 – Giacomini k.o. dal Moser dell’Est
Il sovietico Sukhoruchenkov con una grande fuga solitaria si è aggiudicato l’oro
olimpico

Dall’inviato
MOSCA – Speravo in Giacomini, ho trovato Moser! Il Moser del Volga perché
l’artigliere dell’armata Rossa che ha vinto l’oro del ciclismo su strada ha fatto
dell’asfalto il suo tappeto privato, con la stessa aggrassiva potenza del Moser delle
prime corse da professionista o di alcune formidabili classiche.
Altri preferiscono chiamarlo il Merckx russo o il Merckx che viene dal freddo: in
ogni caso un’impressionante, unanime stima per Sergej Sukhoruchenkov, Sukhò per
gli amici e anche per i giornalisti che, non ci fosse la provvidenziale abbreviazione,
quasi mai riuscirebbero a dedicargli un bel titolone. Per ragioni di spazio, beninteso.
Perché, per tutto il resto, questo ventiquattrenne che viene da un villaggio del Volga è
stato uno spettacolo.
Uno spettacolo che sarebbe interessante mettere alla prova in un Giro d’Italia, anche
se è poco probabile che Vincenzo Torriani riesca a ingaggiarlo. Militare di etichetta,
ciclista a tempo pieno, Sukhò e formalmente dilettante, e tale potrebbe restare tutta la
vita, come si usa all’Est o nei paesi che all’Est si ispirano, vedi Cuba, che fa di un
pugile come Teofilo Stevenson un razziatore di medaglie olimpiche, mai un prof.
L’anno scorso Sukhò aveva vinto tutto, Tour dell’Avvenire, Giro della Pace, Giro
delle Regioni in Italia. Era stato meritatamente nominato «ciclista dell’anno». Ieri ha
fatto ancor meglio, dopo un’annata durante la quale tutto era stato sacrificato a questo
appuntamento e su un percorso sul quale si è alienato centinaia di volte, anche sulla
scia di un’auto.
Alla partenza l’avevo visto concentratissimo, la testa bionda appoggiata sul manubrio,
lo sguardo per qualche minuto fisso sul tubolare, una concentrazione probabilmente
di tipo-yoga. Dopo 15 chilometri è partito, le spalle larghe da nuotatore e la pedalata
talmente ritmica, poderosa, da farlo sembrare in sella perfino più slanciato di quanto
non sia a terra. Un metro e 70 di statura, suppergiù, se ho ben calcolato quando ci
siamo trovati all’arrivo.
Sukhò è partito e il campione italiano Petito, longilineo di Civitavecchia con la pelle
di un algerino, è stato pronto a cogliere l’attimo. Giacomini era in zona, ma la risposta
di Petito a Sukhò l’aveva tranquillizzato: perdiana, mancavano 174 chilometri
all’arrivo, mica uno!
Invece, era proprio cominciato lì, precocemente, lo sprint verso l’oro. Su un circuito
bellissimo ma disegnato da un matto, con 65 curve in 14 chilometri, tutta collina
percorsa a ghirigoro, Petito non ha retto, staccandosi quasi subito. Sotto il sole, con
un vento di traverso, Lang (il migliore dei polacchi) e Barinov (il numero due
dell’URSS) hanno agganciato Sukhò, e buonanotte. Il trio non l’ha più visto nessuno.
L’unico a provarci è stato Giacomini, uscendo dal gruppo con lo svizzero Claus e il
polacco Wojtas. Diventava una corsa in tre pezzi: davanti un jet, in mezzo Giacomini,
poi un groppone cicloturistico.
Giacomini (mondiale nel ’79) aveva in Claus un buon compagno (mondiale del ’78),
ma il polacco non collaborava, avendo Lang davanti da proteggere. E poi, diciamo la
verità, Sukhò era imprendibile, la corsa era noiosa perché troppo sua.
«O lo prendi subito o non lo prendi più», ammetteva Giacomini alla fine. Un
Giacomini abbastanza distante dal suo optimum, espresso l’anno scorso. «Io e gli altri
due – ha spiegato il nostro campione – siamo rimasti lì in mezzo a bagnomaria, con
alle spalle un gruppo stranamente passivo. E poi non erano le mie solite gambe,

anche se mi sentivo bene».
A bagnomaria non poteva durare; gambe per andarsene da solo non aveva; il distacco
da Sukhò aumentava di un minuto al giro! E si è arreso anche lui.
A poco più di 30 chilometri dall’arrivo, il capolavoro di Sukhò che, temendo il
velocista Lang, sdrenava sia lui che Barinov e andava al traguardo da solo, con una
progressione da manuale.
L’argento di Lang e il bronzo di Barinov arrivavano 3 minuti dopo; il gruppetto dei
passabili 9!
Minetti si era già ritirato quattro giri prima, Cattaneo (il pupillo di Gianni Motta)
rimpiangeva la pioggia di Lombardia, Petito sognava quella ruota troppo presto
perduta, Giacomini pensava oramai «a un fine 1980 tranquillo. – come ha detto –
Professionista diventerò solo nel 1981».
Oggi ritornerà a casa, a Cimadolmo, un po’ raffreddato e molto deluso. Se anche la
respirazione gli ha dato qualche noia, non tira fuori scuse. Ha il vantaggio, questo sì,
di essere stato battuto dal migliore, l’entusiasmante Sukhò del Volga.
Per il ciclismo italiano, Mosca è pochissima cosa.