1980 Olimpiade di Mosca. I controlli della polizia
1980 – Olimpiadi di Mosca
Sto a Mosca da sei giorni e suppongo di poter dire la mia sui controlli. Non è vero che sono un
martirio. Chi sostiene il contrario ho l’impressione che sarebbe felice di poter imputare al Cremlino
anche il fatto che da sei giorni non si vede il sole.
È vero, qualcosa come 165 strade a Mosca sono state vietate a qualunque vettura sprovvista di
permesso speciale; la città è rarefatta, non si vede un bambino perché tutti quelli fra i 6 e i 12 anni sono
stati spediti più numerosi del solito ai campi dei pionieri. Insomma, non c’è persona o scantinato che
non sia stato preso in mezzo dalla macchina olimpica, pianificatrice e onnipotente.
Ma non è che atleti, giornalisti o dirigenti facciano da cavie all’arroganza e a kafkiane torture. Non
vogliono l’occidente, non vogliono l’omosessuale in piazza, non vogliono il volantino di Amnesty
International, non vogliono che arrivino dall’Italia le copie satiriche del “Male”, non vogliono lo
scherno, la turbata, il dissenso e l’attentato. Allora, se passi cento volte all’hotel o allo stadio di
controllano cento volte, senza mollare mai l’osso, diligenti non scortesi, pedanti non insolenti. Sono
soffocanti, a tempo pieno, ma gentili.
Fosse un controllo all’italiana, dopo due giorni passeresti anche portandoti dietro un bazooka perché la
disciplina stancherebbe prima i guardiani dei guardanti. Qui, ti vedi sbarrare il passo da cordigliere di
soldati con i volti di quindici repubbliche, ucraini e georgiani, kirghisti e uzbeki, lettoni e cosacchi, che
non conoscono parenti, amici, raccomandazioni, strizzate d’occhio e mance.
Non hanno nemmeno sentito nominare Goldoni, Trilussa, e De Filippo. Sorridono dopo che ti hanno
controllato non prima; non sanno che l’humor è riposo. Fino a quando la valigia non è trasparente agli
occhi dei raggi X e loro, hanno a che fare non con innocenti, ma con sospetti.
Capitano perciò cose anche divertenti come quando all’aeroporto, perdono la tesa vedendosi di fronte i
gemelli Da Milano, marciatori davvero uguali, fatti apposta per confondere involontariamente le idee.
O come è capitato me, quando il detective Philiphs ha segnalato in valigia, tra calzini e canottiere, un
crocefisso. Lo hanno guardato stupiti, se lo sono passati di mano, finché qualcuno deve aver capito che
il mittente non era Jimmi Carter era mia moglie.