1980 Olimpiade di Mosca. Mennea escluso dalla finale

1980 Olimpiadi Mosca – [Mennea escluso dalla finale]

Dall’inviato
MOSCA — « Una delusione grossa dodici anni », è stato l’amaro commento di Pietropaolo Mennea
alla esclusione dalla finale dei 100. Nessuna scusa, nessuna spiegazione. Erano le 18 di Mosca,
grumi di nuvole nere davano pathos al cielo. Sulla pista di rosso tartan messo giù molto soffice da
una ditta di Caserta, tirava un forte vento contrario.

Una delusione grossa dodici anni, una sconfitta, un campione, una vita. Dodici anni; quando il
ragazzo del Sud cominciava a scattare con l’Avis Barletta, alla Sorbona di Parigi sbocciava il
maggio francese. Ieri, nella prima semifinale dei 100, è arrivato sesto, con un mediocre tempo di
10″58. La partenza opaca, la progressione senza slancio, come se d’improvviso si fosse svegliato
vecchio. Più vecchio dei suoi ventotto anni in una Olimpiade di velocisti maturi.

Nei giorni scorsi Mennea aveva degli indurimenti alle gambe e si era sottoposto ad elettroforesi.
Non ne sapeva nulla nemmeno il suo allenatore, il prof. Carlo Vittori, che di Mennea è la coscienza
veloce, da anni. Forse il mal di schiena che lo aveva a lungo infastidito nel recente passato, forse
quel mese di lavoro da schiavo cui s’era sottoposto per ritornare tonico, avevano indurito qualcosa
di diverso: più nella sua scatola nera di uomo che nelle gambe.

Chi è il Mennea sbigottito di Mosca, il campione tanto distante da Praga e da Città del Messico,
da due anni di tempi incalzanti e di record? Ho raccolto tre definizioni, di due giornalisti e di chi lo
conosce come un figlio, Primo Nebiolo.

« E’ un grande campione — assicura Nebiolo — e come tutti grandi campioni ha le sue bizze ».
Secondo Elio Trifari « è uno che fa fatica a vivere con se stesso ». Risulta curioso come anche degli
specialisti dell’atletica, questa oasi di cronometri, prediligano la chiave psicologica per cogliere il
vero Mennea. O addirittura, come fa Giampaolo Ormezzano, scelgano il paradosso dell’etnos.

« Mennea — arrischia Ormezzano — è un negro di un’Italia dove i negri hanno preso il potere ».
Individuando in Mennea, nei suoi umori e nei suoi silenzi, nelle sue asperità e nelle sue sfide,
intense dosi di rivincita, il Sud che cresce, che s’inurba, che alimenta un mercato del lavoro a volte
disperato.

E’ difficile dire cosa stia accadendo a Mennea, visto che lo stesso prof. Vittori si sentiva nei
giorni scorsi privo di dati, di cifre, di test, di confronti. Come se fosse arrivato a Mosca nudo di
scienza e fosse costretto ad attendere proprio questi 100 per saperne qualcosa, esattamente come
noi, spettatori di una speranza più che padroni di una verità. « Non ci siamo mai trovati così »,
avevano detto entrambi, Mennea e il professore.

Il motore di Mennea non ha retto. Nessuno si attendeva che vincesse i 100; si voleva soltanto che
funzionasse in quelli per prenotare i 200, qui sì dando significato e terminal a dodici anni di vita, a
un ultimo inverno di allenamento che qualcuno definisce « inumano ».

Chi corre per fare, da fermo, 100 metri in 10″ è un dragster in carne e ossa. Stacca con un colpo
di pistola e cerca con accanimento il cosiddetto sottotartan, lo strato sotto, il duro su cui battere e
sentirsi restituita la spinta. Ma ieri, l’ha detto lui, non era « il vero Mennea » ed era anche un
campione preoccupato: « Non è detto che nei 200 le cose cambino », ha aggiunto con una prudenza
che fa assomigliare l’oro a una pepita sempre più difficile da scoprire.

Mancando i velocisti Usa, si era già detto che quelle dei 100 e dei 200 sarebbero state medaglie
sub judice, declassate del 40 per cento. Con onestà, senza mettere i paraocchi, Mennea lo aveva
pubblicamente riconosciuto, preda di dubbi perché il boicottaggio lo colpiva due volte: come caso
di coscienza politico e come svalutazione del confronto tecnico.

Oggi, dopo il sesto posto, il 10″58 e il sospetto calato sui 200, persino la finale di lunedì sera
prende contorni obliqui, indurisce l’attesa. I tiratori del piattello si erano portati dall’Italia dei
prosciutti; Mennea era arrivato a Mosca con il contratto di cercatore d’oro e il cervello carico di
doveri. Si sta peggio assi che dimenticati.

Senza finale dei 100 cercherà ora quella dei 200: anche non vincendola, farebbe uno storico
record dell’atletica. Sarebbe la prima volta che uno sprinter entra in finale in tre olimpiadi: per
Mennea, le finali di Monaco, Montreal, Mosca.

Quattro « M », quasi un gioco di simboli e rebus, alla ricerca di un’ultima « M ». La quinta,
Magia o Miracolo? Al suo crepuscolo di grande atleta, Pietro Mennea sembra colto da un
sentimento di impalpabile dissolvenza: la sua ultima vera avversaria, più di Allan Wells, lo
scozzese, che Pietro ha visto vincere 100, due ore dopo il suo fallimento, dalla tribuna, con il
cannocchiale.

Troppo di lontano per uno come lui.