1981 Gennaio 27 L’ultimo giorno del presidente
1981 Gennaio 27 – 26 GENNAIO 1981, L’ULTIMO PRESIDENTE
VICENZA – “Siamo nella melma, zio bubù”. infila le mani in tasca e prende dal mini-frigo una
bottiglietta di Coca-Cola gelata. Nel linguaggio di Giuseppe Farina la “mela” sarebbe la serie C per il
Vicenza.
26 Gennaio 1981, ieri è stato per Farina l’ultimo giorno da presidente. Era arrivato, su quel seggiolone
di legno intarsiato, a gennaio di 13 anni fa. Se n’è andato sempre di gennaio, i capelli ingrigiti e un
figlio ventitreenne eletto al suo posto da un’assemblea di 90 soci.
La stanza del presidente è rimata per tutto questo tempo sempre uguale. La mano di Farina la si
riconosce soltanto da un’anatra impagliata sul mobiletto, impallinata nella sua riserva di caccia a Palù.
Alle spalle del presidente un crocefisso in ottone cui Farina non ricorre nemmeno per giurare. Quando
giura, lo fa sui figli: “giuro – mi ha detto ieri – che da questo telefono non ho mai chiamato un arbitro.
Mai”.
La sede del Vicenza, una palazzina dentro le mura dello stadio, ha un’aria familiare. Gente che va e
viene come a casa sua. Mentre salgo allo studio di Farina. incontro il medico Binda. Gli chiedo di
definirmi Farina con una sola parola: “un capo” mi risponde senza la minima esitazione.
“IL primo presidente non politico di Vicenza” interviene Razzetti, anziano consigliere. “un grande
presidente” aggiunge Zambotto, per molti anni responsabile dei numerosi clubs di tifosi.
Quando arrivò al Vicenza, la società aveva 350 milioni di passivo: “A quei tempi erano soldi!” si
accalora Razzetti. Farina fu eletto presidente con due milioni di azioni su un totale di ottanta. Oggi il
passivo tocca i sei miliardi, il capitale sociale è di un miliardo.
Per riequilibrarlo, l’ex presidente Giuseppe Farina pensa al “capitale” costituito da Paolo Rossi e da
alcune consistenti comproprietà. “La Juve ha bisogno di Rossi – sussurra – come noi abbiamo bisogno
di otto vittorie per salvarci!”.
L’ultima giornata id un presidente dovrebbe avere qualcosa di speciale. Sono venuto apposta a
Vicenza per trovarlo questo qualcosa, ma di veramente speciale ho scoperto soltanto la normalità.
Tutto normale.
Farina si è alzato di buonora, ha lavorato l’intera mattinata nella sua azienda di Palù, ha giocato un
paio d’ore a tennis, ha fatto colazione con gli amici al solito posto, a “Cà dell’ebreo”. Poi s’è messo in
autostrada ed è andato in sede del Vicenza, a preparare l’assemblea dei soci. Per evitare qualche grana
di carattere formale, ha parlato con Dario Maraschin, vice presidente con Giuseppe Farina e vice-
presidente con Franesco Farina. Ha parlato con alcuni tra i più vicini dei 45 consiglieri.
Farina lascia la presidenza del Vicenza senza essersi mai integrato con Vicenza. Il Vicenza Calcio non
si è mai allargato, per Farina, a Vicenza Città. £E’ vero – ammette- non sono mai entrato nella
mentalità di Vicenza. A Verona mi integrerei dopo un mese; qui non sono bastati tredici anni. Ho degli
amici splendidi, ma non mi sono mai sentito legato a questo ambiente. Mi ha sempre messo un pò di
paura”.
Mentre parliamo, gli passano chiamate id un giornalista dietro l’altro. Qual è stato il suo rapporto ocn
la stampa? “Difficile all’inizio – rivela Farina- perché io sono duro, non molto affabile, di pochi
trasporti. Da quando ci si è conosciuti meglio, non ho mai avuto difficoltà”.
– Ti dà più fastidio una notizia falsa o un commento cattivo?
“Una notizia falsa. Se potessi dare un consiglio alla stampa, vorrei che imitasse gli inglesi: la notizia a
parte, staccata al commento. Quella vera, quello liberissimo”.
Alla stessa parete sono appese un fotone con Paolo Rossi e una recente planimetria dello Stadio
Menti. L’una e l’altra risalgono allo stesso periodo, tre anni fa, quando sembrò che l’impianto fosse
persino troppo piccolo per contenere la gente: “credevano di essere campioni del mondo, pensavo
persino di sfruttare qualche spazio in più”.
Ci manca poco che scuota la testa, anche se non lo farà mai. Dice di non essere “né espansivo né
sentimentale”, aggiungendo: “Ho pudore a mostrarmi dentro”. E Paolo Rossi, la clamorosa era-Rossi,
fanno di sicuro parte del suo “dentro” di presidente.
Ma Farina non è mai scontato nelle sue cose. Quando gli domandano di darmi il nome del suo
calciatore ideale, risponde di getto: “Carantini”.
Sergio Carantini. Lo stopper d’altri tempi.
“Pur non essendo un grande giocatore – spiega – era un professionista così continuo, così regolare; un
uomo così positivo e così preciso che non lo posso dimenticare. A noi servirebbe sempre gente così,
gente come Carantini e Volpato. Quando hai un Paolo Rossi. puoi anche fare il matto: ma quando non
ce l’hai uno come Rossi, allora devi puntare tutto sulla serietà. Lo sai che con Carantini e Volpato in
difesa un anno ci siamo salvati segnando soltanto tredici gol?! Dico tredici”.
I tecnici che ricorda con più affetto sono Ettore Puricelli e Gibi Fabbri. “I due più fedeli – precisa –
sono però stati Berto Menti e Savoini”.
Dal telefono che lampeggia alla sua destra, non ha mai concluso un affare in vita sua. nemmeno un
ragazzino di primo pelo, pur avendo trattato in tredici anni qualcosa come 750-800 calciatori: “Ho
bisogno di guardare in faccia la gente”, sostiene.
– Il tuo migliore affare qual’è stato?
“Cinesinho! Lucchi del Pisa aspettò fino alle tre di notte che il dirigente della Juve rientrasse all’Hotel
Gallia a Milano. Io marcavo stretto Lucchi nel corridoio, riuscendo a sapere che il dirigente della Juve
era già a dormire nella sua stanza dalle 8 di sera: alle 2 andai alla chetichella a svegliarlo e conclusi.
Cinesinho ci costò 39 milioni, giocò tre campionati a grandi livelli”.
– Una bidonata l’avrai pur presa?
“E grossa anche, Turchetto. Già la prima meta, per 150 milioni era una bidonata, ma almeno alla luce
del sole. Quando siamo poi andati alle buste con il Brescia per la seconda metà, mi sono detto: questo
bisogna perderlo! Per andare sul sicuro misi allora in busta 37 milioni, una miseria; il Brescia ne mise
9! Dovetti tenermi Turchetto. Oddio, era ance un bravo ragazzo ma un pò molegato”.
Di ricordo in ricordo finalmente ammette: “Si, oggi sento già un pò di vuoto MI rode andar via, per
me è una cosa contro natura; andar via in questo momento p una cosa bestiale. Ma sono tropo
bastonato dagli eventi, a lasciare faccio più bene che male al Vicenza”.
Dietro la tenda della finestra sale il buio. Un traliccio alza ombre di spettri. Nell’aria un pò rovinosa
l’ex presidente del Vicenza saluta con un sorriso. Quando a Farina gli pizzica il cuore, le labbra si
contraggono ai lati, proprio come fosse un sorriso vero.
Giorgio Lago