1981 Marzo 20 Il pianto del Panther, il destino di Zorzi
1981 Marzo 20 – IL PIANTO DEL PANTHER IL DESTINO DI ZORZI
BARCELLONA – Ho conosciuto un “Panthers” in carne e ossa, una delle 38 pantere arrivate
da Venezia a Barcellona dopo 22 ore di pullman. In generale la stampa li chiama tutti ultras,
ragazzi cui piace più il tipo che lo spettacolo. La vetusta Reyer ha infilato i jeans Carrera e
loro la seguono Come si Seguivano una volta le messe solenni cantando il suo Gloria.
La mia “pantera” ha vent’anni e fa il cameriere. Abita alla Giudecca, ma ci mette un minuto
ad ambientarsi in catalogna, Basta che sia un palasport a contenerlo. Si chiama Claudio Dei
Rossi, non è una pantera rosa, non ne ha il piede soffice, l’imperturbabilità, humor. Ha
soltanto la simpatica aria di una salsiccia, gli occhi nei quali i tiri di Heywood e Dalipagic
affondano meglio che in canestro.
– Che effetto ti fa gli chiedo sentire spesso le prediche sul teppismo dello Sport?
“Nessuno! – mi spara fuori dalle guanciole – perché noi non siamo teppisti. I veri teppisti Io li
ho visti in azione a Milano a San Siro”.
Sono tutti maschi, i Panthers. L’unica pantera femmina è una ragazza americana che vive a
Venezia, Nike Ford.
Quando sul parquet entra Spencer Haywood nessuno dei due mi dà più retta.
Guardo anch’io l’americano che Roberto Carrà in definisce la sua Callas, la vera star. Ha
trascorso le ultime ore passeggiando nel vento luminoso di Barcellona con la cuffia portatile
nelle orecchie. Ora non sente più note di jazz punto e virgola sui timpani rullano i tamburi
delle pantere.
Ha il numero 9 sulla schiena. Per deformazione mentale, vergognandomi tra me e me come un
ladro, Penso che in fondo è lui il centravanti! Alla fine avrà fatto 30 punti.
Un asso del calcio che si gioca in 11 è il 9,1 per cento della squadra; nel basket che si gioca in
cinque è il 20 per cento. Nella Reyer Carrera gli esperti dicono che c’è sproporzione tra assi e
gioco, che una somma di talenti naturali non è sufficiente a fare un collettivo.
Mi sono chiesto perché così superiori agli spagnoli, non siano riusciti a vincere, è più che
incazzarmi non ho potuto fare. Sono uscito fuori assieme al mio “Panthers”, piangeva come
un vitello, scuotendo un bandierone rosso addosso ad un pilone d’acciaio.
Fuori, gli italiani brontolano contro l’allenatore. Ma forse Tonino Zorzi era l’unico per il quale
vincere o perdere non avrebbe fatto in fondo grande differenza. Quando la Reyer Carrera
vince l’alleluia va ai suoi assi quando perde, il de profundis tocca soprattutto a lui. Tonino
Zorzi è un personaggio che sarebbe molto piaciuto ad Albert Camus: l’avesse conosciuto, lo
scrittore esistenzialista non gli avrebbe negato una delle sue righe dell’uomo in rivolta.
Perdere è triste, sentirsi sempre sconfitti è tragico.
Giorgio Lago