1982 aprile 15 Altra botta. All’Italia urge classe

1982 aprile 15 – Altra botta! All’Italia urge classe
Dopo il 2-0 di Parigi quest’altra preoccupante sconfitta. Si spera nei rientri di Bettega,
Rossi, Cabrini e… Causio

DDR – Italia 1 – 0

MARCATORE: 19′ Hause.
DDR: Rudwaleit, Ullrich, Trieloff, Schnuphase, Zötsche, Dörner, Liebers, Hause,
Streich (65′ Jarohs), Pommerenke, Trocha; 12 Troppa, 13 Baum, 14 Pilz, 16 Heine,
19 Kuhn.
ITALIA: Zoff (46′ Bordon), Gentile, Marangon (60′ Bergomi), Tardelli, Collovati,
Scirea, Conti, Dossena (46′ Martini), Graziani, Antognoni, Massaro; 14 Vierchowod,
15 F. Baresi, 17 Oriali, 18 Selvaggi.
ARBITRO: Krchnak (Cecoslovacchia).
NOTE: cielo coperto. Terreno in ottime condizioni. Spettatori 25.000. Angoli 14-1
per l’Italia.

Dall’inviato
LIPSIA – A Parigi buscammo due gol da una squadra che ai Mondiali ci sarà; a Lipsia
ne prendiamo uno da chi in Spagna non andrà. Francia o Germania Est che sia, non fa
differenza: si passa di sconfitta in sconfitta con assillante monotonia.
Questi tedeschi non hanno davvero nulla di eccezionale. Sono tali e quali li
immaginavamo. Non hanno inventori, ma gente diligente, che riesce a impostare un
gioco ragionato, mandando a memoria quanto impara. É una squadra che occupa
molto bene, tanto per cominciare, i corridoi laterali, cosa che l’Italia pervicacemente
evita. A destra sganciano ora il mediano ora il terzino. Quando trovano difficoltà a
transitare al centro, cambiano verso sinistra, di dove fanno piovere il cross.
Saranno pure cross un po’ grevi e pedanti, ma uno su cinque funziona. Non a caso, il
gol arriva proprio così dopo 19 minuti. Sul corridoio sinistro sgambetta un tizio dal
nome impronunciabile, tale Zötsche, e mette in mezzo. Quasi sul tondino del rigore
bazzica solo e soletto Lothar Hause, di 26 anni; sollevamento, testa precisa, Zoff
inutile, ed è fatta. La DDR vince così.
Questo Hause va ricordato un momento perché potrebbe insegnare qualcosa anche se
è un lentone. Esattamente 12 minuti dopo il gol, è proprio lui che, stavolta nella
propria area, sradica una palla-gol dal piede di Graziani. Voglio dire che i tedeschi
hanno vinto anche perché tatticamente capaci di un assetto ordinato: Hause aveva il 7
sulla schiena ma teneva gli spazi di mediano pendolare, buono per tutti gli usi.
A nessun uso era invece disponibile la Nazionale del povero Bearzot. Dico povero il
Ct perché, di fronte a tanto caos e a tanta ignavia, non si sa nemmeno come
coinvolgere chi in panchina sta.
L’Italia ha giocato discretamente il primo quarto d’ora e l’ultimo. Il primo quarto
d’ora attraverso una trama sincopata, senza vibrazioni ma almeno composta. L’ultimo
quarto d’ora attraverso una pressione che in tutto ha portato 2-3 volte al tiro Massaro,
peraltro senza esito per tutta un serie di deviazioni da stinco.
In mezzo ci sta un’ora penosa assai, senza anima né nerbo, senza nulla. Una
Nazionale mediocre, ingolfata, incapace di produrre un solo schema svelto, articolato,
a pieni polmoni.
C’era il sole, l’aria ideale, un campo discreto, un pubblico di 20-25 mila persone tanto
silenziose da sembrare disinteressate. C’erano insomma le condizioni ideali per
giocare un’amichevole pensata, utile, senza stress o patemi, senza sbrodoli o fichi

secchi.
Nemmeno per sogno. Se avviava discretamente un contropiede, presto l’Italia lo
paralizzava sulla tre quarti abbandonandosi a stucchevoli rondò. Tic, toc, tac, una
cosa da far venire sonno. Fra Conti e Graziani non esisteva nessun legame funzionale:
Graziani poi elargiva al pubblico gli stop più precari del carnet internazionale.
Dossena appariva e scompariva, Tardelli portava irrimediabilmente palla. La rapidità
di Massaro andava sprecata perché il ragazzo, forse prendendo fin troppo alla lettera il
compito di sorreggere Antognoni, partiva da distanze proibitive. Chi aveva sprint,
come Massaro, o chi aveva tiro, come Conti, giocava all’altezza dei mediani, a volte
dei terzini, con il risultato di aiutare l’avvio dell’azione, mai il suo evolversi in zona-
gol.
Ci sono stati momenti di un’inesprimibile pochezza, anche perché i tedeschi parevano
paghi del gol di vantaggio.
Ciò nonostante, il 2-0 era pressoché fatto per loro e veniva mancato per la punta di un
pollice. Accadeva al 50’, quando un duplice impaccio difensivo liberava davanti a
Bordon (subentrato a Zoff nella ripresa) il quesi trentenne Pommerenke, mezz’ala
compassata e preziosa. Il bravo Jurgen anticipava Bordon e lo sorvolava con un docile
pallonetto, senonché la traiettoria portava dritta alla traversa, presa quasi di sotto, a un
soffio dal 2-0 che avrebbe ripetuto al millimetro il risultato, si fa per dire, di febbraio
a Parigi.
Bearzot ha usato due sostituzioni, oltre a Bordon. Marini per Dossena e, dopo un’ora
esatta, Bergomi per Marangon. Non è mutato granché, fatta eccezione per una
modesta dose di vigore in più, essendo risultati proprio Marangon e Dossena tra i
meno in «partita» del tedioso pomeriggio sassone.
Alla fine l’Italia avrebbe anche potuto pareggiare con Conti, Massaro o Bergomi,
quest’ultimo autore di una capocciata sulla traversa alta. Ma nemmeno questo
fatiscente forcing ha mai toccato un decente livello tecnico. Mai si è visto un vero
assist, un lancio preciso, una rifinitura davvero smarcante.
Antognoni ci ha provato più volte, mancando la misura con una puntualità perfino
patetica. Nemmeno la pressione di Gentile da sinistra ha prodotto qualcosa.
Il dramma è che non si vede gioco, nemmeno in abbozzo. A Parigi i francesi
sembrarono degli architetti; a Lipsia i tedeschi ci paiono dei geometri. Il tessuto, la
trama, lo stare in campo è cosa loro, che non ci riguarda se non a flebili sprazzi.
Lo schema a una punta (Graziani) e mezza (Antognoni) ha finito con il condurre le
due ali (Massaro e Conti) in sperduta retrovia. Quando poi giungevano i cross, non
potevano che essere preda di un portiere mediocre ma alto un metro e 98 centimetri,
con la collaborazione di uno stopper specialista di testa.
Ho visto una Nazionale smorta, più che a Parigi dove almeno la differenza fu in parte
fatta da un fuoriclasse, Michel Platini. Qui assi deutschen non erano in circolazione.
Ma è bastata l’Italia a fare la differenza-no – con un gioco al groviglio, senza smalto.
Quel poco di buono che ha fatto, l’ha prodotto con una pressione da parrocchia, che
non promette nulla di esaltante.
Se di qui alla Spagna la squadra non crescerà, c’è poco da sorridere. Ma ripeto un
concetto: le premesse sono talmente peregrine che non dovrebbe essere impossibile
migliorare!Ma si crescerà soltanto con i Bettega, Paolo Rossi, Cabrini e, sissignori,
Causio. Ci vuole più classe in campo. E, in più, un impianto tattico meno anonimo.
A due chilometri in linea d’aria dallo stadio, nella chiesa gotica di San Tommaso,
Johann Sebastian Bach ha inventato per ventisette anni la sublimazione della musica,
insegnando ai ragazzi l’arte del coro. Noi siamo arrivati, abbiamo tirato una
stonatissima stecca e ce ne siamo andati. Una toccata e fuga alla rovescia. Il bello è

che, a sentire gli italiani negli spogliatoi, hanno giocato tutti benone!
La musica si arrende.

Pagelle: Massaro 6-, Marangon 5, Bergomi 6

ZOFF n.c.: Il gol lo stecchisce. Un paio di uscite non impeccabili sul piano stilistico.
Tutto qua.
BORDON n.c.: A differenza di Zoff, lo risparmia la traversa. Tutto qua.
GENTILE 6,5: Rimane acquattato per l’intero primo tempo a controllare Trocha,
un’ala di scarso palleggio e di largo movimento. Poi Gentile, sfruttando anche l’arrivo
di Bergomi, occupa il corridoio sinistro e alimenta gioco abbastanza bene, sia pure a
raggio corto.
MARANGON 5: Un’ora di partita parecchio inespressiva. Occupato dal biondo
maciste Liebers, resta al palo né carne né pesce, subendo anzi l’impulso del teutone.
TARDELLI 5,5: Meglio che a Parigi, non c’è dubbio, dove proprio gli mancarono le
gambe. A Lipsia porta il pallone oltre il lecito, contribuendo pure lui alla lentezza
degli sganciamenti. Il suo avversario Pommerenke gli schizza anche in gol, anzi in
traversa…
COLLOVATI 6: Nonostante l’ineliminabile vizietto al tocco barocco, contiene bene
Streich, che ha i suoi anni ma che si mostra sempre pericoloso.
SCIREA 6: Se la cava, e in coppia con Gentile spinge abbastanza nella ripresa. Ma
non è ancora lo Scirea brillante di un anno fa.
CONTI 5,5: L’altra sera l’avevo detto pure a lui: giochi troppo arretrato. Ieri sera
avevo fatto la stessa obiezione a Bearzot e il Ct mi aveva risposto: «Ma chi ha detto a
Conti di giocare indietro come a Parigi? Non io». Fatto sta che Conti, probabilmente
per generoso istinto a partecipare e a giocare, sta facendo la punta fin troppo arretrata.
É troppo bello il suo sinistro e troppo nitida la sua battuta perché arrivi ad eseguirla
troppo stanco dopo enormi gironzoli per il campo.
DOSSENA 5: Un solo tempo. Durante l’intervallo ha detto di sé: «Ho giocato meglio
qui che a Parigi». Ma, se c’è stato, è un progresso da poco. Una regia la sua
abbastanza opaca e per ora troppo impersonale.
GRAZIANI 5,5: Sedotto e abbandonato in mezzo ai marcantoni della difesa tedesca.
Si batte come sempre, digrignando sui pochi palloni, ma è troppo solo. Confessa i
soliti impacci di piede. Sarà stata questa la sua ultima partita in attesa di Rossi? É
possibile.
ANTOGNONI 5,5: Un avvio che semina molte speranze, con un buon destro che
scortica il palo tedesco. Dopo di che, galleggia a metà campo, provando a servire il
gioco d’attacco dell’Italia, ma ahimè gli manca sempre qualcosa. O è impreciso o non
è abbastanza perentorio.
MASSARO 6-: Il più accanito almeno nella prima parte della partita e il più pronto a
concludere a rete nell’ultima parte. Si vede che ha qualità e va sorretto fino in fondo,
anche se la gnagnera di Lipsia lo ha un po’ contaminato.
BERGOMI 6: Una mezzora dignitosa, con uno slancio offensivo che si adagia sulla
traversa.
MARINI 6-: Se Bearzot, sostituendo Dossena, voleva con lui maggior cemento, a
metà campo l’ha ottenuto.

I voti della DDR

Rudwaleit 6-, Ullrich 6, Trieloff 6,5, Schnuphase 7, Zötsche 6.5, Liebers 6,5, Hause
6,5, Dörner 6, Streich 5,5, Pommerenke 6,5, Trocha 6-.