1982 giugno 11 Perchè Bearzot non va daccordo coi giornalisti
Il Gazzettino – 11 giugno 1982
Perché Bearzot non va d’accordo coi giornalisti
«Potete criticarmi quanto volete ma non datemi dello
scemo»
Dall’inviato
PONTEVEDRA – Paul Denize, dell’agenzia France Presse mi dice: «Scriverò oggi che l’incontro
di Bearzot con i giornalisti è una piccola corrida, il suo footing quotidiano. I giornalisti italiani sono
persino peggiori di quelli francesi: in mezzo a loro, il Ct fa la figura dell’unico scolaro».
Bearzot ha diviso i giornalisti in due categorie: «Ci sono i professionali – spiega – e quelli
che lavorano con anema e core. Io sono per i primi, non per i secondi. Quelli che lavorano anema e
core lavorano per colpirti anche sul piano umano, perché questa è la nuova filosofia del giornalismo
come business di vendita».
Il naso da pugile pestato gli freme alle narici, l’accendino trema sul fornello della pipa. Gli
occhi del Ct eseguono zoomate selezionando gli interlocutori seduti attorno. «Rispondo alle
domande di chiunque – chiarisce – ma guardo in faccia soltanto ai professionali. Io guido la
Nazionale sempre in buona fede: dissentire è lecito, darmi del coglione no. Chi mi dà del coglione
può pretendere da me le riposte, non l’altra guancia. Se il giornalismo cambia, io sono sempre lo
stesso, quello del ’38 o del ’50, sempre lo stesso».
Nereo Rocco di Trieste si definiva «austro-ungarico» e nel cuore lo era per davvero, avendo
con il fascismo dovuto italianizzare il cognome Rock, del nonno, cambiavalute viennese. Enzo
Bearzot, nato il 26 settembre 1927 a Ioannis, provincia di Udine e diocesi di Gorizia, s’illumina con
tutti quei denti larghi soltanto nel ricordarmi la grappa di Roccabernarda e vecchie storie inghiottite
dal tempo.
«Allo scoppio della prima guerra mondiale…», comincia a raccontarmi sotto braccio, come
se di davvero mondiale ci fosse soltanto quel tramandato ricordo, non certo l’imminente rondò di
pedate. «Allo scoppio della prima guerra mondiale – insiste Bearzot con una memoria tutta friulana
– il confine passava a due passi della mia Ajello. A Palmanova era Italia, da noi era Francesco
Giuseppe. Noi eravamo i “talians ciapàs cul sciop”, gli italiani acquisiti con il fucile dell’Austria.
Mio padre, per non sparare contro i fratelli, scappò cinque anni a Catanzaro!».
Ajello, Pontevedra, il Friuli e l’Atlantico, le guerre e i campionati, non cambia nulla. Lui
chiama i 22 giocatori che ha scelto «i miei amministrati» con linguaggio tardo-asburgico, da cripta
dei cappuccini.
Quando qualcuno gli chiede: Come aspetta la Polonia? Bearzot risponde con l’eco di un
fucile 91, un colpo da trincea a trincea, tenendo tutto il suo pezzetto di Patria sul petto di pelle e
ossa. «Mi sento – dice senza un pulviscolo di ironia – come i soldati che vanno a combattere. C’è
chi va e chi resta in collina a guardare. Io vado e sono pronto a stringere la mano a chi mi avrà
battuto perché migliore ».
Baschetto nero, sigaro masticato e bastone di bambù, Mario Soldati lo ascolta con
l’immaginabile sorpresa dello scrittore che scopre il Piave sulle rive di un oceano. Più in là Carlo
De Gaudio, consigliere federale, definisce Bearzot «un martire», bersaglio di cecchini d’ogni sorta.
«Sono venuto a vedere – mi confida poi Oreste Del Buono appena giunto ieri a Vigo – come
anche nel calcio l’italiano proceda verso l’uomo di Neanderthal, imbarbarito da troppi messaggi.
Sai dirmi – si chiede Del Buono – come un telespettatore potrà non uscire ottuso da 52 partite
trasmesse in un mese?».
Sostenne qualche anno fa Alberto Moravia: «Odio la Tv, la trovo volgare. È un mezzo
volgare che emette un messaggio volgare, diseducativo». Io non credo che il progresso sia in sé
volgare o pedagogico; è progresso e basta. Ma un corollario né immorale né morale lo si può
dedurre: la televisione ha cambiato i giornali.
Nel calcio, la televisione cominciò con le immagini; è giunta alle interviste, ai dibattiti, ai
processi, allo spogliatoio permanente. In un certo senso ha rubato il pane soprattutto alle testate
sportive ponendole di fronte al dilemma: reggere alla concorrenza attraverso la meditata notizia
oppure produrre la notizia, differenza che grosso modo Bearzot legge tra «i giornalisti professionali
e quelli anema e core».
Alla vigilia di partire per Vigo, andai da Lamberto Mazza che mi disse: «Noi siamo la vostra
materia prima, ma non siamo a disposizione di tutti. Per esserlo è necessaria la fiducia». Molte
trappole del calcio italiano nascono qui, dalla ridotta credibilità.
Enzo Bearzot, dritto come un fucile 91, diffida delle nuove tecnologie.