1982 luglio 12 Italia Mundial
1982 luglio 12 (Il Gazzettino)
Battuta la Germania 3-1 – Azzurri campioni tre volte (come il Brasile)
Italia Mundial
Nuova splendida affermazione della nostra squadra a Madrid: i gol di Rossi, Tardelli e
Altobelli hanno siglato il trionfo azzurro – Tutto lo stadio Bernabeu ha tifato per l’Italia –
L’entusiasmo di Pertini che ha assistito alla partita assieme al cancelliere Schmidt e ai
regnanti di Spagna – In delirio la folla in tutta la penisola – I campioni del mondo attesi oggi a
Roma.
E’ Paolo Rossi il goleador del Mundial
MADRID — Immortale domenica, giorno biblico, di festa. L’Italia ha vinto il Mundial 1982 di
calcio. Dominando in finale la Germania con tre gol di Rossi, Tardelli e Altobelli, è per la terza
volta campione del mondo, impresa finora riuscita soltanto al Brasile, 120 milioni di abitanti, dodici
milioni di calciatori, culla del football-samba.
Come nel 1934 e nel 1938 vince l’Italia del talento latino, della machiavellica intelligenza, di un
nerbo atletico che mai come a Madrid l’ha vista tanto agganciata all’altra Europa, il nord, gli
anglosassoni, il calcio del metodo, della potenza, della classe bionda dei Rurnmenigge. Grande
Italia, che spreca perfino un rigore e dimentica l’assenza di Antognoni, l’infortunio precoce di
Graziani, sudore, fatica e botte.
Qui, dentro questa immensa tarantella tricolore, mi sento più tifoso che giornalista, ma scrivo
con gioia perché scrivere d’impeto è un po’ come giocare anch’io la mia piccola, magica dose di
partita. Chi ha guardato in televisione, sa benissimo che a volte non basta essere testimoni, bisogna
lasciarsi andare senza rossori. E’ peccato entusiasmarsi per una pagina di sport senza violenza,
senza trucchi, senza bustarelle, senza mafia, senza camorra, senza ladri, evasori e qualunquisti? No,
è un lampo ingenuo e onesto, ma nemmeno tanto effimero, perché dietro una squadra di undici
campioni c’è anche lavoro, preparazione, dieta, vivaio, sacrificio, rinuncia, abilità, migliaia di
ragazzi. Può esserci anche un importante brandello di Paese, sperare da un prato verde che tutto
funzioni meglio.
Grande Italia, migliore al mondo negli Anni Ottanta. Ho fissato lo sguardo su Enzo Bearzot, del
Collio goriziano, giù nel catino di questo stadio orgoglio della nuova Castiglia, e mi pare di aver
capito cos’è lo stordimento dell’uomo, a metà tra l’ebbro e il sobrio, un felice dondolio della
coscienza; sono un « soldato » aveva detto a Vigo, riagganciando atmosfere che furono di Vittorio
Pozzo, in tempi di enfasi naturale. Chissà che cosa si è sentito alle 21.45 di ieri sera, mentre la sua
squadra faceva melina e schioccavano gli olé sulle tribune, dopo sette anni di trincea azzurra,
esposto agli agguati di cento cecchini, perché la Nazionale è la fidanzata di tutti e un bene
demaniale, a turno terra di saccheggio o da parco naturale, ora vituperata fino all’ultimo de
profundis, ora cantata in basiliche di alleluia.
Grande Italia, tricampione del mondo. Ha vinto una squadra matura, di ventotto anni virgola otto
mesi di media d’età, che ha mandato in campo in Spagna quindici giocatori, dai quarant’anni di
Zoff, ai diciannove di Bergomi. Una squadra-base di due friulani, due romani, due toscani, tre
lombardi, un umbro e una pelle scura di Libia, Claudio Gentile, nato a Tripoli. L’Unità di Italia è
fatta, ex colonie comprese.
Ognuno ha portato, oltre alla tecnica, frammenti della propria terra. Non dimenticheremo Zoff,
solido come un fogolar di Mariano del Friuli. La marcatura con discrezione di Collovati. Il padano
benessere di Cabrini, gli sguardi neri di Gentile detto « Gheddafi ». La lombarda efficienza di Orlali
e Scirea. L’estroversione romanesca e provinciale di Conti e Graziani. Il piglio sovversivo di
Tardelli goleador, lucchese di nascita e pisano d’adozione, « meglio un morto in casa, che un pisano
all’uscio », lo hanno capito ieri sera, dal limite dell’area, anche i panzer.
Non dimenticheremo
i chiaroscuri d’Umbria di Antognoni, mancato all’ultimissimo
appuntamento non al merito. Non scorderemo Rossi di Prato, che scambiarono per un borghese
piccolo piccolo soltanto perché ha l’abitudine di usare soggetto, verbo e complemento oggetto senza
forzare i toni. Rossi detto Pablito, sei gol in tre partite mondiali, tre di testa e tre di piede, il più bel
tiro a segno della storia del calcio italiano di tutti i tempi. Rossi, l’asso che fuma, ama il bicchiere di
rosso, sposa una bellissima bionda, non ha la cassa toracica di Gigi Riva, né la potenza di Piola, né
l’uncinetto di Meazza, ma è un giocatore del tutto-calcio, un olandese in miniatura, uomo normale,
di misure normali, nato per fare con istintiva souplesse tutte le grandi piccole inarrivabili cose di un
goleador.
Non dimenticheremo nemmeno il lavoro di officina di Marini, la freschezza di Bergomi, lo
spaurito caracollare di Altobelli, capace di un gol mondiale, fintanto come le sue lunghe gambe di
caucciù. Ricorderemo anche la sorniona presenza di Giusto, assistente spirituale di una squadra che
quaranta giorni fa era atterrata in Galizia con bauli di inquietudine. Due soli minuti, gli ultimi della
finale, sono bastati al campione dell’Udinese per sentirsi tutto dentro la grande notte del mondiale.
Questa Italia è molto nostra, molto italiana, mostra le cose che sappiamo ricostruire in mezzo a
tanti dubbi. Mostra l’arte di arrangiarsi anche senza la materia prima dei paesi più robusti. Ha
lavorato in clausura, castità, silenzio, sobrietà, ma quando gioca ha un’aria più scugnizza che
trappista. Lo ha mostrato anche con il primo gol di Rossi, una ventata, dentro la rete degli alemanni.
Non ha l’Italia né la catena di montaggio dei tedeschi, né il superiority complex degli inglesi, né
l’orizzonte del continente-Brasile. E’ una penisola strana, che confina con la Svizzera e insieme con
acque d’Africa. Nel disegno dello stivale ha un destino di pallone, che va dalle nebbie del Po al sole
del sud. E’ una nazionale molto italiana, perché c’è un po’ tutto di noi, borghese, proletaria, urbana e
agraria. Questi giocatori vivono tutti il loro mito, il loro successo e il loro benessere con vocazione
interclassista. Fra Tardelli e Rossi, fra Cabrini e Conti, passano tutte le gradazioni, dalla povera
periferia allo buone famiglie senza problemi economici.
Grande Italia. Sette partite, tre pareggi e tutte vittorie. Una finale prima faticosa e dura, poi
affascinante e impazzita in cento eccitazioni. Undici italiani bruni hanno ferito undici biondi, con la
eccezione di Breitner e Muller. L’Italia ha concesso loro soltanto l’orgoglio, un gol per la
reputazione di campioni di Europa in carica e di bicampioni di tutti i tempi. Vent’anni di
giornalismo, cinque mondiali, vivo un attimo irripetibile, da uomo e da professionista. L’Italia di
Enzo Bearzot, del blocco-Juve, di un mosaico nostrano, è ora raggrumata a centrocampo, reggendo
sulle spalle questo friulano di Bearzot, un pezzo di vita seria dentro una vittoria collettiva.
All’ultimo minuto, un magnifico arbitro brasiliano ha inseguito il pallone, lo ha carpito. Io ha
sollevato al cielo, fischiando come con la fantasia della gente di Rio, la fine del Mundial 1982.
Sì, io c’ero e racconterò in po’ di cose anche ai miei figli, senza telefono, senza titoli, senza
pazienti dimafonisti. Ma sono sicuro, matematicamente sicuro, che qui c’eravate anche voi, tutti,
come Sandro Pertini.
Grande Italia, non diciamo grazie perché ci pare poco.
Il Mundial è nostro! Un favoloso trionfo
Italia-Germania 3-1
Marcatori: 57’ Rossi, 69’ Tardelli, 81’Altobelli, 83’ Breitner.
Italia: Zoff, Bergomi, Cabrini, Gentile, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Oriali, Graziani
(7’ Altobelli, 88’Causio). A disposizione: Bordon, Marini, Dossena.
Germania: Schumacher, Kaltz, K.H. Forster, Stielike, Briegel, Breitner, B. Forster, Dremmler
(62’ Hrubesch), Littbarski, Fischer, Rummenigge (70’ Muller). A disposizione: Franke, Hannes,
Magath.
Arbitro: Coelho (Brasile).
Note: cielo coperto, temperatura trenta gradi, terreno in buone condizioni, spettatori 90 mila.
Angoli: 3-3. Ammoniti per gioco scorretto Dremmler, Stielike e Oriali; Littbarski per proteste.
Dall’inviato
MADRID — Il mondo del calcio è tricolore! La prima parola pronunciata dal tecnico tedesco è
stata « Brava », brava Italia. Le squadre vere, il calcio di tradizione, gli avversari nobili vedono
meglio e più razionalmente di chiunque. I tedeschi hanno capito la sconfitta; non hanno perso loro,
ha vinto l’Italia.
L’Italia è nelle cifre, nei tre gol, nel calcio di rigore buttato fuori, nei pochi rischi sofferti. L’Italia
è nell’atteggiamento.
Prima ha guardato dallo spioncino; poi ha giocato alla pari. Ha inferto l’1-0 come una
sanguinante banderilla sulla groppa dei panzer. L’ha messa dentro Paolo Rossi, sublimando in rete
lo sviluppo di un calcio di punizione, suppergiù come gli era riuscito contro la Polonia.
Dopo il vantaggio, Madrid e il Mondovisione hanno visto l’Italia che domina, che non si barrica,
che non ha più paura, che non difende il golletto. Una nazionale non di rapina, bensì nella sua
pienezza, liberatasi da ogni complesso. Una squadra persino nuova, persino rivoluzionaria, che
proprio al suo ultimissimo gesto ha ratificato il manifesto tattico di Enzo Bearzot: fate il vostro
gioco, consiglia il bravissimo croupier azzurro.
Rossi di testa in sfondamento; Tardelli in manovra dal limite; Altobelli a busto eretto fintando il
portiere. Tre gol, tre gol mondiali, segnati da due centravanti e da un mediano, tutta gente agile,
nessun monumento di ossa e di muscoli, il poster a tre nomi di una squadra che ha fatto prevalere i
riflessi sulla potenza pura.
E’ stata un’Italia anche spartana, che ha fatto ancora una volta strame di chi considera il latino
esemplare razzialmente incapace di soffrire.
Bergomi ha tirato avanti con la novocaina nella caviglia; Gentile ha sofferto nella respirazione.
La squadra che si diceva mal preparata e peggio assistita, ha tirato fuori alcune virtù vincenti nuove
e vecchie, la difesa, Rossi, « lo spirito di corpo » come Bearzot ama dire dei suoi « ragazzi ».
I tedeschi non erano al massimo della condizione, questo lo sapevamo già da quando subirono,
perdendo con l’Algeria, la loro Corea. Avevano patito qualche jattura, qualche importante calo di
forma, questo caldo ancora più delirante per loro che per gli italiani; ma erano pur sempre, come già
dicemmo, undici tedeschi, forti, bravi, esperti, tuttora il miglior calcio del continente europeo. Eroi
stanchi finché si vuole, che mai e poi mai si sentono però battuti, se non c’è la ratifica ufficiale
dell’arbitro.
Battere la Germania non è mai facile e infatti il 4-3 del 1970 in Messico fu la « partita del
secolo » mentre la finalissima di ieri sera ha toccato picchi di emozione da annali del calcio. Enzo
Bearzot era arrivato a questa finale non mangiando da un giorno e mezzo. Lo ha confessato alla fine
della partita; non era più riuscito a mandar giù nulla nel giocarsi il punto cardinale della sua
carriera.
Lo ha vinto, superato. Lo aveva già vinto anche perdendo la finale, ma adesso ha tutto, il suo bel
mappamondo tra le braccia. Soltanto Vittorio Pozzo e lui, due soli tecnici italiani hanno ottenuto
tanto. Beninteso con un exploit attivo: non è la squadra che ha trainato Bearzot; è piuttosto il
tecnico che non l’ha mai abiurata, nemmeno quando gli chiesero di cacciare chiunque per far posto
a Massaro o quando gli domandarono di far fuori Paolo Rossi, alla fine il goleador d’oro, mister
Mundial 1982.
Bearzot e squadra hanno vinto assieme, reagendo anche a infortuni dell’ultima ora e a un rigore
sbagliato che poteva compromettere tutto. Quando hanno chiesto a Bearzot se è vero che vuol dare
le dimissioni, il c.t. ha risposto: « Ci penserò tre giorni, io amo il calcio, questo è il giorno più bello
della mia vita ».
Tre giorni da solo con la sua vittoria. Non può uscirne triste. Resterà.
I 90’: rabbia, gioia, paura e il trionfo
Dall’inviato
MADRID — Oltre trentamila italiani applaudono il presidente Pertini, che arriva in tribuna e saluta
alla sua cordialissima maniera, mezz’ora prima della partita. Fa un caldo infernale, molto umido. Il
cielo è coperto di basse nubi. Sembra cominciar male per l’Italia, anche nei dettagli. S’inceppa l’Inno
di Mameli, non appena abbozzato.
L’Italia accusa un’assenza importante, Giancarlo Antognoni, soprattutto dopo il buon match con
il Brasile e gli ottimi 20 minuti con la Polonia. A sorpresa, non lo sostituisce Dossena, bensì
Bergomi, il più giovane degli italiani, un terzino, mandato a marcare il grande Rummenigge.
Ma la strana jella non è finita. La partita di Graziani dura appena 6 minuti. In uno scontro con
Kaltz, il trentenne centravanti stramazza a terra, inchiodando la spalla destra. Fa subito segno, con
una smorfia dolorosa, di non essere in grado di proseguire e chiede la sostituzione. A freddo, senza
alcun presupposto tattico, si ritrova in campo Altobelli, la prima riserva delle punte. Mancando le
fiondate di Antognoni in avanti, forse la presenza di uno scattista come Altobelli è perfino
preferibile. In ogni caso, l’uscita di Graziani è patetica, l’Italia perde un lottatore indomabile.
La Germania mette in moto un inizio massiccio. La difesa italiana è molto controllata, ma i
tedeschi danno l’impressione di potersi fare di colpo pericolosi. L’Italia da parte sua appare piuttosto
cauta, come se pensasse di giocarsi la partita alla lunga, non avendo dovuto pagare né i tempi
supplementari… con la Francia, né lunghe soste notturne all’aeroporto di Siviglia, come invece
accadde ai tedeschi.
C’è nell’aria una grande attesa del gol, anche perché nessuna finale mondiale è mai finita con
meno di tre reti. Il ritmo è blando, ma non molle. E’ un ritmo dettato da precauzione, dopo sette
sforzi consecutivi, non da risparmio.
I contrasti si fanno via via più duri, colpo su colpo. Sono tackles sordi, violenti. Il grande stress
accentua le contorsioni di chi è vittima di qualche intervento irregolare: non si contorcono
naturalmente perché sono signorine, ma perché uomini con il gran simpatico esposto, i capillari
davvero in superficie per la tensione, la posta in palio, il carico di atmosfera che avvolge il Santiago
Bernabeu.
La prima palla-gol è tedesca, di Fischer, che spara al volo, ma fuori, deviando un cross molto
bello di Rurnmenigge, liberatosi alla battuta, nonostante la vigilanza di quattro italiani. E’ un
Rummenigge che non ha molto da spendere, essendosi pochissimo allenato e portandosi in gamba
l’incubo di uno strappo, ma è pur sempre un campione assodato.
L’Italia non sta a guardare. Risponde con qualche contropiede, abbastanza di largo respiro. Al 22′
Tardelli inette in mezzo un cross micidiale, radente, sul quale il portiere tedesco esce incerto,
costringendo Dremmler a un caotico salvataggio sul fondo.
Ricordate questo minuto, 24′. E’ un minuto maledetto per l’Italia. Mentre a centrocampo Bergomi
accusa una storta alla caviglia sinistra e Gentile un colpo al costato sinistro, il gigantesco Briegel, il
decatleta convertitosi al calcio, frana letteralmente su Conti, schiacciandolo a terra, mentre il
funambolo della Roma si appresta a deviare di testa uno stupendo cross di Cabrini. E’ calcio di
rigore e quest’arbitro brasiliano, alto, bello, giovane, di tradizione molto onesta, non ha il minimo
dubbio. Fischia il penalty.
Ci fosse Antognoni, sarebbe lui il rigorista, e bombarderebbe di sicuro un feroce destro.
Mancando lui, tocca allo stesso Cabrini, mancino. Immagino che cosa debba bruciare di nervosismo
in questo momento, anche se Cabrini è uno dei giocatori più rilassati. E’ stato l’unico che avevo
visto cantare, durante l’esecuzione dell’Inno di Mameli. Cabrini alla battuta, rincorsa molle, non
guarda nemmeno il pallone e, forse per questo, quasi lo manca, in ogni modo toccandolo appena,
d’interno sinistro, debole, fiacco, fuori, alla sinistra del portiere che pure aveva intuito. Un’occasione
più unica che rara per andare in vantaggio e gestire meglio la partita, si vedeva sfumata. Come per
Graziani, ho letto una grande pena addosso a Cabrini, ritornato mestamente verso il centrocampo
con una faccia pallida, tirata, mai vista prima d’ora.
L’errore ha rinfrancato i tedeschi e al 32′ ho visto davanti a Zoff l’1-0 per loro, fortunatamente
scampato per un intervento magistrale, sotto misura, a non più di cinque metri da Zoff, dello stopper
Collovati, capace di anticipare nel momento magico il centravanti Fischer, già allargatosi nella
spaccata.
I tedeschi si affidano soprattutto alle fasce laterali, Kaltz a destra e Briegel a sinistra. Briegel, un
angelo biondo, massiccio e impulsivo, svetta sui corner, in acrobazia, come un volo Lufthansa.
Alcuni brividi arrivano proprio da lui. La Germania macina il suo gioco come una potente
locomotiva, che bada a graduare le energie.
L’Italia è più viva sullo scatto, almeno con Rossi e Altobelli. Ma gioca parecchio a singhiozzo,
come impaurita, contratta da assenze, infortuni, errori. Il suo contropiede ha l’aria di poter ferire,
soprattutto quando a portarlo in avanti è Conti, il più pronto e il più pericoloso al tiro di sinistro, ma
per ora non riesce a liberare Paolo Rossi, che pur chiama palla e, una volta, si lamenta con Tardelli,
per avergli preferito Altobelli al lancio.
Anche al tiro, c’è una differenza; quelli dei tedeschi sono più grevi; i nostri magari imprecisi, ma
più vivi.
Il primo tempo si conclude con un intervento in extremis di Stielike, il battitore libero del Real
Madrid, qui di casa sua, che sul limite dell’area non trova di meglio che dare una spallata a Oriali,
evitando che il mediano dell’Inter entri in area con il pallone giusto sul destro, per battere
probabilmente la migliore palla-gol dell’Italia. Ahimè negata, e non sfruttata poi su calcio di
punizione.
Il secondo tempo comincia con i tedeschi che provano a trasformare la partita in un lavoro ai
fianchi, tutto potenza, lasciando poco all’invenzione. L’area di Zoff diventa per qualche minuto un
ring, anche se non costellato da scorrettezze.
Penso a Rossi, che è fresco, tranquillo, chiama la palla, ma forse sente la mancanza di qualche
lancio di Antognoni. E’ il destino che si debba rimpiangere Antognoni, quando manca, riservandogli
sempre pelo e contropelo quando gioca. Altobelli sbaglia un lancio facile verso Pablito, che ha l’arte
dello smarcamento e dello scatto.
La Germania preme con alcuni corner, a mucchio nell’area di Zoff. S’intravvede in questo
impulso l’aprirsi di spazi agevoli, in contropiede, per l’Italia. Aspettiamo che Conti riesca, con i suoi
lanci, a scavalcare la difesa tedesca, trovando Rossi che altri non trovano.
La svolta del match la determina una punizione su Oriali. Il « Piper » piglia un colpo dietro
l’altro, è più a terra che in piedi, lo bastonano da tutte le parti. Ottiene una punizione quindici metri
fuori d’area. Viene toccata a destra su Gentile, lanciatosi in avanti; dalla posizione di ala, cross al
centro, sul quale tre giocatori italiani si avventano in uno sfondamento che ha qualcosa di inglese.
Colgo un velo importante, una finta, sulla traiettoria, ma nella concitazione non ricordo che si tratti
di Altobelli o Conti, anche se l’uno è mezzo metro più alto dell’altro. A centro si avventano per
colpire di testa, di corpo o come capita, sia Cabrini che Rossi. Rossi ha il senso del tempo superiore,
e non sbaglia. Arriva dentro, quasi insieme con Cabrini, finendo quasi nella rete. E’ l’1-0. Sul
taccuino, nell’intervallo, avevo scritto: chi segna, ha vinto la finale. Leggo gol come un grande
auspicio.
La partita ora finisce di essere controllata; la Germania de per forza recuperare; l’Italia cerca il
colpo che ammazza. Gli scontri si fanno più difficili, ma questa partita è davvero una finale
mondiale, anche perchè è diretta da un arbitro mondiale, l’arbitro brasiliano Arnaldo Cesare Coelho,
perfetto, immune da errore, capace di distinguere i contrasti puliti dai colpi proditori, ma senza
eccessi. Un arbitro la cui finale andrebbe proiettata in tutte le sezioni d’Italia.
La Germania tenta l’impossibile a dare più peso al suo attacco per tentare il pareggio. Tira fuori il
mediano Dremmler e manda dentro il gigante dell’Amburgo, Hrubesch. Bearzot risponde senza
esitazione, scambiando le marcature: Collovati va ora su Hrubesch, Cabrini si sposta su Fischer.
L’Italia non difende affatto l’1-0. Basti pensare che, subito dopo il gol, trovo il battitore libero Scirea
proiettato in avanti.
Dopo un’oretta assistiamo a un episodio mai visto, divertente, curioso. Il portiere tedesco,
impegnato fuori area, giusto sul limite del campo, quasi alla bandierina del corner, in un dribbling
serrato con Paolo Rossi, e riesce a vincerlo, riportandosi il pallone in area, recuperandolo poi, tra gli
applausi della folla, mentre l’esterrefatto Altobelli non sa che guardare.
Al 65’ Zoff salva il vantaggio, uscendo ad attorcigliarsi a terra, con due tedeschi addosso, sul
cross molto bello di Briegel dall’area. Qui la partita prende davvero la svolta finale.
Tre dopo, mentre la Germania è sfatta, incapace di recuperare, scatta il contropiede italiano. Ma
non un contropiede verticale, scarno. Un contropiede manovrato, morbido, palleggiato. Vi
partecipano cinque giocatori, compresi due difensori!, Bergomi e Scirea, a dimostrazione che l’Italia
di Bearzot è davvero la squadra italiana più distante dalla tradizione del catenaccio. Rossi-Bergomi,
trama fitta in area, tocco a Scirea sul vertice, passaggio impeccabile, a testa alta, appena fuori
dall’area, sul lunotto, per Tardelli, ultimo mediano arrivato a sorreggere l’azione, Tardelli s’inclina,
alla sua specialissima maniera, e batte via il sinistro imparabile del 2-0, del titolo mondiale, della
sicurezza.
Non c’è più niente da fare, la Germania sostituisce Rummenigge con lo stilista Hansi Muller, già
dell’Inter. Palliativi, perché c’è una squadra sola in campo, che si permette meline, sottolineate dai
boati e dagli olè del pubblico, migliaia e migliaia di bandiere tricolori. A 10 minuti dalla fine l’Italia
stravince, coglie il 3-0, quasi per voler garantire la tradizione che tutte le finali mondiali hanno visto
almeno tre gol.
Conti, il mancino, questa volta all’ala destra, motorino inarrestabile. Lancia al centro ad
Altobelli, smarcatosi in mezzo a smarriti difensori tedeschi. Altobelli stoppa, attende l’uscita del
portiere, lo evita con una mossa da corrida, deponendo di sinistro il 3-0, preciso, a porta vuota. Un
trionfo, come chiamarlo altrimenti?
Soltanto due minuti dopo la Germania, con uno dei suoi più veterani campioni, Breitner, riesce a
battere Zoff, sulla destra, segnando il gol giusto, della bandiera, che non umilia una grande squadra.
Sì, perchè, particolare da non trascurare, l’Italia non ha battuto in finale un’outsider, ma una delle
due favoritissime, i campioni d’Europa in carica.
Nel tripudio del giro del Campo, con i giocatori a reggere il trofeo d’oro scolpito da un artista
milanese, Silvio Gazzaniga, si è colta una irriferibile vibrazione tricolore. Tutta nostra.
Carraro: « Finale pulita sotto ogni aspetto »
Dall’inviato
MADRID — Carraro è giunto allo stadio un’ora e mezza prima della partita. « Questa finale – ha
subito detto il presidente del Coni – è una grande soddisfazione per tutto lo sport italiano, dato che
il calcio è trainante ».
Ci sarà una concreta ripercussione sui praticanti, sui giovani, sulle strutture?
« Senza dubbio e molto forte. Risultati come questo fanno lavorare meglio le federazioni e
stimolano i ragazzi a fare sport, calcio e il resto ».
Quale è stato l’aspetto migliore del risultato della Nazionale in Spagna?
« Il fatto di averlo ottenuto senza trucchi, senza barare sulle squalifiche (niente amnistia per
Rossi, nemmeno le amichevoli, N.d.R.), insomma in maniera pulita sotto ogni aspetto, in campo e
fuori. »
Le pagelle
9 a Rossi, Scirea, Conti e Bergomi, magnifico poker della finale
Italia
ZOFF 8: a prima vista non ha fatto tanto da meritare un voto così alto, ma la sua presenza di
capitano sempre tranquillo, capace anche di uscire dalla riservatezza per confortare i più giovani,
merita da sola un voto alto. Mi riferisco per esempio a un episodio: Bergomi si torce la caviglia
sinistra, si piega su se stesso, quasi chiedendo alla panchina di provvedere. Il gesto di Zoff è stato di
corrergli accanto, di rincuorarlo e, battendo le mani, di invitarlo a sollevarsi stringendo i denti. In un
gioco collettivo, in una finale anche psicologica, sono cose importanti. Ha parato in mischia; ha
tutelato a mio avviso l’1-0 al 75′ anticipando due attaccanti pronti alla deviazione-gol. Ha perso
anche una palla, vagante. E allora.
BERGOMI 9: ha 19 anni si è giocato una finale sullo stesso campo dove aveva esordito sul
fronte internazionale, qui a Madrid, in Coppa con l’Inter. Evidentemente l’aria spagnola gli fa
benissimo. E’ giocatore calmo, sereno, tranquillo. Gioca corretto; ha molta classe. Questo giocatore
può arrivare dove vuole. Con tutto il rispetto e la grandissima stima che ho sempre portato a
Gentile, ritengo che Bergomi sia già il suo erede, erede suo o di Collovati, fa lo stesso. Ha
partecipato, en passant… anche al gol del 2-0, offrendosi in attacco, con compostezza, al passaggio.
CABRINI 7,5: senza avversario, sul lato laterale, assieme al terzinone Kaltz. Si è adattato a una
partita ancora diversa dalle precedenti, finché Bearzot non l’ha mandato a marcare nell’ultima parte
di partita Fischer. Cabrini stato l’uomo del colpo di scena, sia pure in senso momentaneamente
negativo. Aveva fatto tutto lui, all’inizio della partita, servendo a Conti un cross magistrale. Ha poi
fallito il calcio di rigore, per un attimo di ipertensione, forse un tocco tanto meditato da risultare
sbagliato, scarsamente naturale. E’ rimasto per un po’ choccato, poi ha ridato vigore, quasi per
vendicarsi e farsi perdonare qualcosa. Ma non era proprio il caso: è lui uno dei grandi protagonisti
di questo Mundial. Non per niente sull’1-0 di Rossi era, a spalla con Pablito, i gemelli d’Argentino
nel 1978, lanciatisi fin dentro la porta tedesca.
GENTILE 8-: prende dopo pochi minuti una brutta botta al costato, che lo fa soffrire, obbligando
il prof. Vecchiet ad appoggiargli cubi di ghiaccio al petto. Marca il più veloce, il più fresco, il più
vivo degli attaccanti tedeschi, il dribblatore Littbarski, che affonda pericolosamente quando l’Italia
aveva già vinto la partita, nella concitata ribellione degli orgogliosi tedeschi. Dopo essersi preso
Maradona e Zico, dopo essersi riposato per una giornata di squalifica… Gentile ha colpito ancora.
COLLOVATI 8: controlla Fischer, centravanti prendi e tira, un tedesco tarchiato, che però non
ha la classe di suoi predecessori come Gerd Muller. Collovati marca bene, concedendo al
centravanti soltanto conclusioni di lontano. Una volta che se lo vede piombare a qualche metro dal
gol, lo stopper dell’Inter compie un autentico miracolo di torsione. E salva. Il simbolo di una finale
e, anche, di un intero Mondiale.
SCIREA 9: è il giocatore-sicurezza. Non si esalta chiudendo gli spazi, ma facendoli funzionare.
Tutti i difensori giocano con la testa a posto, perché hanno alle spalle un grande portiere e un
grande libero. Scirea è un maestro nel preoccupare gli avversari. Dopo l’1-0, qualunque battitore
libero d’Italia, e forse anche non d’Italia, sarebbe rimasto acquattato in area a controllare la
situazione. Scirea è l’emblema del gioco che vuole Bearzot; l’iniziativa, lo chiama il Ct. e Scirea lo
prende alla lettera, andando ad attaccare anche quando noi tutti in tribuna tremiamo per la paura del
pareggio. Merita un voto altissimo, perché si esemplifica tutto in quel passaggio, da ala destra, per
Tardelli, sul 2-0.
ORIALI 8: grande lottatore, prende incassa e restituisce molti colpi. Non a caso, l’1-0,
importantissimo per cominciare a vincere, arriva proprio da un calcio di punizione per brutto tackle
su Oriali. Ha qualche segno di ribellione, più che comprensibile, perché soprattutto nel bel mezzo
del centrocampo i tedeschi producono un ritmo teutonico, non cattivo, ma accanito e pesante. E’
stata questa probabilmente la miglior partita di Oriali al Mondiale ’82, la più continua, tant’è vero
che è prevalso nettamente sul suo avversario, Dremmler, uscito anzitempo, stremato, dal campo.
TARDELLI 7,5: un paio di errori nel servire Rossi, una punizione calciata malissimo. Ha tirato
la carretta per tutto il Mondiale; recuperando anche importanti botte, arriva alla finale che se non è
in debito d’ossigeno poco ci manca. Soltanto uno con suo enorme carattere riesce a restare a galla.
Nel primo tempo tranciando un paio di cross molto belli; nel secondo tempo trovando la forza di
una lunga corsa nel deserto del centrocampo tedesco, arrivando giusto in tempo per raccogliere il
passaggio di Scirea e mettere in gol. Ha preso il vizio di segnare Tardelli, in Nazionale come con la
Juve; è un mediano pieno, che avevano dato non si sa perché per prosciugato, esaurito, non
intravvedendo in lui gli enormi serbatoi del campione.
CONTI 9: io lo trovo grandissimo. Ha provocato il calcio di rigore, giuro che sarebbe stato gol.
Ha inventato colombelle e cross da ovazione tra il pubblico, nonostante l’opposizione di un
immenso giocatore come Briegel. Contro il decatleta tedesco, ha usato tutte le arti dello
smarcamento, del dribbling. Gli è scappato anche un fallo a mezza altezza, ma senza carogneria. Ha
calciato dei sinistri molto belli, pericolosi. Soprattutto ha fatto un lavoro logorante: lui che è un
giocatore fine, di talento, di palleggio, di gran piede, copre un ruolo alla Domenghini, da autentico
mulo, su e giù lungo i bordi del campo, per cercare di servire in triangolo o con lunghi lanci.
ROSSI 9: sblocca il risultato della finale, cogliendo un cross, il primo che gli arrivava tranciante,
sotto misura. In mischia, felino, con una prontezza di riflessi sensazionale, riesce a vedere tutto
anticipando sia i suoi compagni che gli avversari. Ha segnato sei volte in tre partite: no comment.
Nonostante il rodaggio oscuro, accanito, psicofisico di Vigo, ha vinto il duello con Rummenigge,
secondo nella classifica del goleador del Mundial. Era stato la sorpresa d’Argentina, è stato la
conferma in Spagna: ha eclissato i Maradona, gli Zico, persino i Boniek e i Rummenigge. Nessuno
ha inciso su questo Mundial quanto lui. Avevamo sempre sostenuto che Rossi è capace di tutto; non
appena ha ritrovato se stesso e un minimo di condizione, l’ha dimostrato.
GRAZIANI n.c.: subito fuori, con una gran pena nel cuore in quanti lo guardavano dalla tribuna.
Nel caldo non esiste controprova, ma sono convinto che anche con lui l’Italia avrebbe vinto. Un
colpo maligno lo ha privato dell’ultima bellissima soddisfazione.
ALTOBELLI 8: forse esagero di un voto, ma bisogna tener conto che era il giocatore più
« estraneo » al meccanismo in campo. Ha preso un po’ di tempo per assestare la posizione; ha creato
spazi attorno a Rossi, anche se non collegamento in senso stretto. Il suo dovere l’ha fatto in pieno e
il 3-0 lo gratifica di una buona partita, vissuta d’improvviso, senza minimo preavvertimento.
CAUSIO n.c.: mandato in campo un paio di minuti come per dirgli che, anche se ha giocato poco
il Mondiale, lo ha vissuto con molta misura, dando all’intero clan un contributo di esperienza,
soprattutto nei primi giorni, di pettegolezzi e di polemiche.
Germania
SCHUMACHER 6: un dribbling sensazionale con Rossi, sul limite del campo. Non grandi
interventi, purtroppo per lui soltanto gol. Letteralmente sfondato da Rossi sul primo gol, sorpreso da
Tardelli sul secondo, scoperto dalla sua difesa sul terzo.
BRIEGEL 7: un memorabile atleta contro il più bassino degli italiani, Conti. Un grande
campione, pericoloso all’attacco, anche se giunto spremuto alla finale.
KALTZ 6: terzino destro, a zona con Cabrini. Non provoca sfracelli, come il rigore causato da
Briegel; tende a servire lanci precisi, ma quando entra lo specialista Hrubesch è troppo tardi.
BREITNER 7: il gol della bandiera. Un tentativo di creare manovra a centrocampo, ma in
situazione di scarsa brillantezza degli attaccanti, soprattutto di Rummenigge.
FORSTER I 7: stopper su Paolo Rossi, molto bravo, molto attento, difficile da superare. Pablito
ha usato la folgore, per andargli in gol.
FORSTER II 6: centrocampista di impulso, votatosi più alla copertura. L’Italia gli faceva paura.
DREMMLER 5,5: se gli manca la birra in corpo, scade a mera corsa. Troppo falloso, soprattutto
su Oriali.
impreciso.
LITTBARSKI 6,5: a 2 minuti dalla fine forse meritava un calcio di rigore, che del resto non
avrebbe cambiato nulla. Ma all’onestissimo arbitro deve esser sorto qualche dubbio, probabilmente
un paio di giocatori, passandogli davanti, non gli hanno fatto veder bene.
FISCHER 6-: primo tempo troppo mediocre al tiro. Si è liberato qualche volta, sempre
RUMMENIGGE 7: un voto in più di stima, campione che si sacrifica a giocare nonostante sia al
50 per cento della condizione. Prova a manovrare, ma non ha più gli impulsi. Ha perso la partita dei
gol, 6 a 5 con Rossi, merita rispetto e un arrivederci ad altri favolosi appuntamenti.
STIELIKE 7: forse un po’ troppo nervoso, sperava chissà che dall’arbitro. Giocava a Madrid,
dove fa il professionista nel grande club sponsorizzato ora dalla Zanussi. Non ha potuto lasciare un
bel ricordo.
HRUBESCH 6: era l’arma della disperazione per i tedeschi ma non ha funzionato molto
soprattutto perché la difesa italiana l’ha soffocata.
MULLER 6: praticamente atto di presenza con la partita già segnata, sul 2-0. Che brutto
Mondiale questo per il neoacquisto dell’Inter.
ARBITRO 10: da anni non vedevo un arbitro così. Era stato lo stesso di Inghilterra-Germania,
ma quella sera le due squadre avevano fatto ben poco per rendere difficile la partita. Ha diretto una
finale mondiale accanita e stancante come si dirige una partita a tresette tra buoni amici.
Pablito cannoniere del «Mundial»
Con sei reti, Paolo Rossi è stato consacrato capocannoniere del campionato mondiale di calcio
1982. Nel corso della competizione sono stati segnati in totale 146 gol.
Questa la classifica cannonieri:
6 reti: Rossi (Ita).
5 reti: Rummenigge (Rfg).
4 reti: Boniek (Poi) e Zico (Bra).
3 Reti: Kiss (Ung), Armstrong (Nir), Falcao (Bra), Giresse (Fra).
2 reti: Wark (Sco), Schachner (Aut), Panenka (Cec), Socrates (Bra), Eder (Bra), Serginho (Bra),
Six (Fra), Genghini (Fra), Platini (Fra), Rocheteau (Fra), Tardelli (Ita), Fazekas (Ung), Nylasi
(Ung), Poloskei (Ung), Maradona (Arg), Passarella (Arg), Bertoni (Arg), Assad (Alg), Hamilton
(Nir), Robson (Ing), Francis (Ing), Littbarski (Rfg), Fischer (Rfg).
Del Brasile il miglior attacco
MADRID — Ecco le statistiche del campionato del mondo di Spagna.
Nel complesso sono state realizzate 146 reti in 52 gare, con una media di 2.6; il record è del ’54
— Capocannoniere: Paolo Rossi (Ita) 6 reti.
— Maggior numero di reti individuali in una gara: Rossi (Ita), Boniek (Pol), Rummenigge (Rft),
con una media di 5,3.
Kiss (Ung) 3 reti.
— Maggior numero di reti complessive: Brasile 15.
— Maggior numero di reti in una gara: Ungheria-El Salvador 10-1.
— Punteggio più alto: Ungheria-El Salvador 10-1.
— Rete più veloce: Robson (Ing), dopo 27″ (gara contro la Francia nella prima fase).
— Più lunga imbattibilità: Shilton (Ing): 426′ senza subire reti.
— Espulsi: Vizek (Ung), Maradona (Arg), Gallego (Arg), Donaghy (Nir), Gilberto (Hon).