1982 luglio 5 Il «nostro corazón» contro l’«aristocrazia» fatta pedata e gran voglia di spettacolo
1982 luglio 5 – Il «nostro corazón» contro l’«aristocrazia» fatta pedata e gran
voglia di spettacolo
Barcellona, 4 luglio 1982.
Alla fine di Brasile-Argentina tutti i giocatori aderirono alla moda di scambiarsi le
rispettive maglie. Soltanto uno rifiutò il rito: Paulo Roberto Falcao, il meno ipocrita.
La maglia sudata – sostiene Falcao – è sacra, può essere scambiata soltanto con un
avversario che la merita. Non era il caso degli argentini, violenti prima con l’Italia,
sleali poi con il Brasile proprio attraverso i loro due giocatori-simbolo, Passarella e
Maradona. Niente lealtà, niente doni.
Ti farà qualche effetto, abbiamo chiesto a Falcao, materia grigia della Roma, giocare
contro i tuoi amici italiani?
«No – ha risposto – perché ho un solo amico tra loro, Conti. Tutti gli altri sono
avversari anche in Italia».
Brasile-Italia nasce con una gran voglia di correttezza, di gioco, di rischi, di
spettacolo. A renderla aperta provvede anche la tradizione: otto partite tra le due
nazionali non hanno mai registrato un pareggio! O si vince o si perde. Nei Mondiali
recenti, in Messico e in Argentina, perdemmo per 4-1 e per 2-1. Un totale di 6-2 che
non promette nulla di buono per oggi.
All’Italia il pareggio non serve, perché manderebbe in semifinale il Brasile. Bearzot
deve tentare di vincere ma, abbastanza stranamente, ha a disposizione un’Italia da
contropiede contro un Brasile che a sua volta sublima il contropiede, come dimostrò
un anno fa a Stoccarda cancellando la Germania.
Se tentasse di arrembare, il che non fa mai, l’Italia finirebbe probabilmente trafitta. Il
Brasile tiene un gigantesco pivot nero al centro dell’attacco, Serginho, e attacca con
tutta una serie di molleggiati interni, tra i quali non si sa chi scegliere in virtù di
palleggio. Concedere spazi a tipi del genere equivale sulla carta ad arrendersi.
L’Italia ha una sola possibilità tattica: giocare nell’unico modo che conosce,
raggrumata a centrocampo ed elastica in avanti. La sorreggono due dati di fatto:
contro l’Argentina, l’Italia finì in condizioni di freschezza e poteva goleare i
campeones do mundo non fosse per i pazzi pallonetti di Bruno Conti. Inoltre, contro
la stessa Argentina, il Brasile concesse qualche palla-gol di troppo, trovando soltanto
nel secondo tempo i venti minuti che ammazzano.
Collovati prenderà Serginho, Cabrini Zico, Gentile Eder. Il primo duello sarà
soprattutto aereo; il secondo in triangolo; il terzo sullo scatto. Nonostante qualche
muso duro tra Gentile e Maradona, la nostra difesa non ha mai ucciso nessuno. Marca
che più stretto non si può esibendo difensori quasi tutti eleganti, quali Scirea,
Collovati, Cabrini. Gente che sa giocare con il coltello tra i denti, non tra le caviglie, è
diverso.
Anche se non sicuro, è probabile che Zico sia in campo nonostante la gamba
massacratagli da Passarella. Mancasse lui, cambierebbe un po’ il modulo d’attacco,
non il potenziale del Brasile, visto che lor signori carioca contano sulla panchina più
stratosferica del Mundial, con i vari Renato o Paulo Isidoro.
Diamante del Flamengo e del calcio bailado, Zico può risolvere la partita o farla
risolvere (ricordate il 3-0 di Junior all’Argentina?) in qualsiasi momento. Di padre
portoghese, Zico ha un controllo di palla al diapason, che si unisce ad intuizioni
lineari.
Zico soffre l’uomo addosso forse perché non è molto potente: lo sguardo
lontanamente malinconico nasconde un’infanzia miserrima, in una favela della
periferia di Rio. Giocava per strada su due gambette sottili come grissini e, quando lo
portarono al suo primo club, lo costruirono per dei mesi non tanto con gli allenamenti,
ma dandogli finalmente da mangiare come si deve e propinandogli chili di vitamine.
Le grandi partite, le grandi vicende di sport non sono mai soltanto esercitazione di
muscoli e di schemi. Dentro i campioni si arrovellano segreti bioritmi e atteggiamenti
mai pienamente decifrabili. È il caso di Zico, se ci sarà. È il caso del più divertente
brasiliano. Tonino Cerezo, che prima di giocare a football faceva il pagliaccio in un
circo.
È anche il caso di Falcao, l’aristocrazia fatta pedata, quest’aria di baronetto trasferita
tra gli stinchi, gli ematomi e le corride di una partita che può valere milioni di dollari.
È il caso di Paolo Rossi che ha raccolto in questi giorni tutte le briciole della sua
classe per estrarre dal piede un prodotto che anni fa era suo, il gol: l’ultimo gol di
Pablito è vecchio di tre anni, e porta la data di Zagabria.
È il caso di Bearzot che sente la panchina di Ct con vene e capillari di un quinto arto,
parte integrante di sé.
È anche il caso di Tele Santana, il tecnico del quale i brasiliani scrissero il giorno
della sua nomina che era un allenatore al massimo da squadre giovanili.
Tattiche e scuole, marcature e assi, tensioni e sogni, vengono oggi illustrati sotto il
solleone di Barcellona, con la direzione dell’israeliano Klein, altro arbitro, come
Rainea, a noi non sgradito. L’Italia avrà a disposizione o un autentico colpo di scena o
almeno l’ambizione di lasciare una traccia senza rimorsi.
Contro i Maestri da perdere ha davvero poco: e allora ci può provare con il corazón in
pace.