1983 Maggio 25 Coppa dei Campioni. Ad Atene la Juventus mundial contro la tradizione
1983 Maggio 25 – Coppa dei Campioni. Ad Atene la Juventus mundial contro la tradizione
Stasera alle 21 di Atene (le 20 italiane) la Juventus di Torino, il più forte club italiano di tutti i
tempi, tenta di conquistare per la prima volta nella sua storia il primato in Europa. Nella finale della
Coppa dei Campioni, avversario è l’Amburgo di Kaltz e Hrubesh, vecchie conoscenze della notte
Mundial, l’anno scorso a Madrid.
Quasi quarantamila italiani, l’un per cento della intera popolazione della metropoli ateniese! Sono
incredibilmente qui trasportati dall’industria dell’evasione che sempre più collega sport e turismo, il
calcio di massa e la gita organizzata, Roma ha fatto follie per lo scudetto, stordendosi ancor più
nella cultura dell’effimero, ma nessuno, nemmeno Intere Milan, godono del seguito della Juve.
La chiamano la “fidanzata d’Italia” o, con tono più aristocratico, la “Vecchia Signora”,
beffardamente tradotta in “la Gobba” dai tremendisti dell’irriducibile Torino. Ci sta tutto nella Juve.
E’ l’hobby dell’avv. Agnelli e piaceva un sacco a Palmiro Togliatti, per la riservatezza delle
decisioni che faceva tanto comitato centrale a porte chiuse. E’ sponsorizzata dal presidente della
Confindustria, Merloni, e gode di una popolarità tradizionalmente interclassista.
Un giornale di Amburgo scrive che “lo stile Juve consiste nel fare ciò che si reputa giusto anche se
anticonformista”, come accadde per il lutto portato al braccio dalla squadra alla morte dell’ex-re
Umberto di Savoia. Lo fece disciplinatamente anche Marco Tardelli, toscano di sguardo sovversivo,
figlio di un operaio con trent’anni di tessera comunista.
La Juve è un partito senza contrassegno elettorale, sicchè non ha deferenza per alcuno. Lo stesso
Tardelli ha dichiarato l’altro ieri di voler vincere stasera anche per darla vedere ai “politici”, in
particolare a Giulio Andreotti, reo di troppo amore per la Roma, La Juve è la Fiat che fabbrica
calcio: come assetto finanziario e societario passa per un modello tant’è vero che – prendendo due
anni fa l’Udinese – Lamberto Mazza annunciò di volersi ispirare ad essa.
Una quindicina di anni fa Gianni Agnelli definì “socialdemocratica” la sua Juve d’allora, perché era
una squadra di lavoratori diligenti, dove nessuno emergeva sull’altro. Non sappiamo come
l’Avvocato, in arrivo ad Atene con l’executive personale, la definirebbe oggi. Forse “liberal”,
all’americana, moderna, un po’ spregiudicata, dotata di purosangue più che di maremmani.
E’ una Juve che, con Gentile Brio, ha due bulldogs in retromarcatura e che abbonda di classe in
tutto il resto, a cominciare da Platini, Bettega, Rossi, Tardelli, Scirea, Cabrini, Zoff. Sviluppa in sé
anche una ragionevole dose di superiority complex, che le fa accogliere gli insuccessi come
implicite concessioni all’avversario.
L’Amburgo è il nord del Nord tedesco. E’ biondo e germanico nel cervello e nei bulloni. Senza
jattanza sono sicuri che il loro calcio sia “uber alles”, il migliore di tutti perché mescola in giuste
dosi la potenza dell’atleta e l’abilità del calciatore. Non si sentono inferiori a nessuno, così
avviandosi alla finale nello stesso atteggiamento della Juve. Una finale tra gente vincente, con i
deutschen che definiscono la Juve “una grande squadra con tanti piccoli difetti”.
Poiché, dal 1970 in poi, la Coppa dei Campioni è monopolio assoluto di olandesi, tedeschi e inglesi
nell’ordine, la Juve ha l’occasione per riportare gli orologi molto indietro, quando l’Europa era del
Real Madrid, del Benfica, dell’Inter o del Milan. La Juve tenta soprattutto di colmare una irritante
lacuna di casa Agnelli e, insieme, di restaurare l’immagine del calcio mediterraneo.
Silenziosi i tedeschi covano la incommensurabile goduria di battere i latini in Grecia! Con il culrto
antico pagano e inappagato che hanno della classicità, sarebbero felici come boccali di biondissima
birra se riuscissero a inginocchiare Zoff a due passi dall’Acropoli. Impresa non impossibile, ma
assai difficile, dato che la Juve con sei campioni del mondo è irrobustita dal sempiterno Bettega, da
un truce polacco di pelo rosso, Boniek, e da uno specialissimo emigrato italiano, Michel Platini, i
cui nonni sono novaresi del Lago Maggiore, Comune di Agrate Conturbia.
Forza Juve alllora! Zeus ti assista: che cos’erano i suoi fulmini se non mitici gol?