1983 Maggio 9 La Juventus abdica con onore. Dopo 41 anni riecco la Roma
1983 Maggio 9 – La Juventus abdica con onore. Dopo 41 anni riecco…Roma!
La Roma ha vinto lo scudetto 1983: dalle 17,45 di ieri la notizia è ufficiale. La Capitale s’illumina
di football.
E’la seconda volta nella storia del calcio italiano, con in mezzo quarant’anni che hanno cambiato il
mondo. Nel 1942 Roma fiutava la fine dell’era fascista; nel 1983 Roma gestisce l’Anno Santo e si
prepara a cambiare il Parlamento della più elettorale Repubblica d’Europa. Nulla si può più
confrontare perché nulla è più assimilabile.
Nonostante tre anni di buona programmazione, lo scudetto della Roma è in parte sorprendente. Lo
ha infatti vinto nella stagione nata sotto il presunto tallone della Super-Juve, mezza Mundial e
mezza arricchita con Platini e Boniek. Ma il cedimento della Juve è stato tanto vistoso che oggi, nel
sereno molto variabile di maggio, nessuno stupisce più di niente, anzi. La Roma sembra giunta al
traguardo perfino in ritardo, con una andatura alla fine prudentissima.
L’ultima parte del Campionato l’ha giocato in sordina amministrando la classifica come se
disponesse di un tesoro. Il clamore l’ha lasciato alla Juve, alla sua Coppa, alla sua imminente finale
di Atene, alle sue tempestose partite con Torino e Inter. Lo stesso Platini ha mezzo oscurato Falcao,
dimostrando che la classe può fondere assieme assist e gol, il totale dell’area di rigore, come usava
Pelè.
Nel giro di un paio di mesi, è parso che la Juve fosse impegnatissima a perdere lo scudetto e che la
Roma le tentasse tutte per non vincerlo. Né è così risultato un finale di Campionato parsimonioso,
logorato in trincea, più dosato che vissuto. La Roma ha avuto il merito della prudenza, virtù
predicata fino all’ossessione da Liedholm.
Consapevole di aver perso 4 punti su 4 nei due match diretti con la Juve, Liedholm non ha mai
considerato Boniperti fuori gioco. La Roma ha vinto anche perché ha temuto la Juve come
meritava, quindi rischiando lo stretto indispensabile, centellinando i punti badando solo al risultato.
“La Roma gioca sempre per vincere”, cantava Liedholm, sapendo benissimo che in primavera gli
bastava anche pareggiare. Come ieri a Genova.
La Juve ha segnato più della Roma, ma la Roma ha vinto più della Juve. Il passo della Roma è
sempre stato molto regolare e soltanto la Juve riuscì a vincere all’Olimpico. La squadra ha praticato
un football molto flessibile che usa l’apparente lagna della “zona” per due fondamentali funzioni: o
tirar fuori dalla ragnatela l’affondo-gol o assorbire nella gelatina l’altrui aggressività. Esempio di
quest’ultima qualità difensiva il pareggi-svolta con l’Inter a Milano.
Anche se stasera Liedholm rifiuterà la baraonda Romana per starsene quieto a Cuccaro tra i suoi
vigneti nell’Astigiano, è lui il primo motore dello scudetto. Più Liedholm che Falcao. Ed è uno
scudetto innovatore, non rivoluzionario, però tatticamente modernista, che trapianta con successo il
seme della “zona” nel campionato invece celebre al mondo per le marcatura. Sicchè una vittoria non
di scuola, né di ambiente, né di retroguardia o di pigrizia mentale, ma un’affermazione originale che
rende in ritardo giustizia ad altri abortiti tentativi, per esempio di Vinicio ai tempi del Napoli.
La Nazionale Mundial di Bearzot e la Juve di Trapattoni giocano marcando duro dietro e
controllando a zona soltanto in mezzo al campo. La Roma perfeziona il piazzamento seguendo piste
già aperte da brasiliani e olandesi. Tirate tutte le somme, ne risulta ora un panorama più ricco e più
stimolante, capace di dare maggiore pienezza al calcio italiano.
Volti nuovi prendono il tricolore, come il portiere Tancredi, il terzino Nela, il muraglione
Vierchowod, Ancelotti e soprattutto Agostino Di Bartolomei, il destro più possente d’Italia,
giocatore scoperto tanti anni fa da Manlio Scopigno e soltanto recentissimamente liberatosi
dall’incomprensione altrui, sempre pronta a rinfacciargli la lentezza del passo e non altrettanto
pronta a coglierne la matura geometria. Volti nuovi salgono all’orizzonte, allargando il panorama
tecnico della serie A.
La Roma è campione d’Italia. Non ha rubato nulla e non ha pagato alcunchè al presunto Potere del
Nord. Ha vinto senza barare, soltanto in un’occasione la sciandosi andare a petulanti e malevoli
bisbigli a proposito di arbitri e di centimetri. Ha sfruttato in pieno i cedimenti della Juve, esaltandosi
nel passo dietro passo, ben protetta dagli humor, dalla bravura, dall’esperienza di Niels Liedholm,
lo scandinavo che da anni e anni fa ovunque risultato, migliorando per invecchiamento quanto i suoi
vini e mai logorandosi nelle tentazioni dell’imborghesimento.
Con Liedholm e con Falcao, la Roma dà al suo scudetto anche un tocco di cosmopolita eleganza.
Popolare e populista, Roma farà del suo 1983 un interminabile giovedì grasso ma – insieme- riesce
ad aggiungere al calcio del dopoguerra una presenza utile sia in espansione geografica sia in risorse
umane. Benvenuta tra le grandi, Roma! Tra le grandi c’eri sempre stata, ma ieri la cosa è stata
messa finalmente in carta bollata. Lo scudetto è l’unico notaio che conti nella storia del calcio.