1984 Giugno 1 Roma – Liverpool

1984 Giugno 1 – Roma, ma che” mondiali” hai !

Noi italiani siamo dei fenomeni nel raccontarci barzellette, tanto che a volte finiamo per scambiare la
battuta con la realtà. Sapete qual è a Roma l’”opinione unanime” sull’esito della finale di Coppacampioni?
Ce lo dice l’agenzia Ansa: “La Roma è stata sconfitta dalla formula, non dal Liverpool”.
Gli inglesi sono davvero dei bastardi, aveva ragione da vendere Mario Appelius, la voce del Regime negli
anni ’40: allora l’Inghilterra ci perseguitò con le “inique sanzioni”; oggi viene a umiliarci in casa, nella
capitale, con l’”iniqua formula”! Non se ne può proprio più.
La formula è quella dei 90 minuti, più due tempi supplementari, più i calci di rigore, per evitare ripetizioni di
match oramai proibitive sul piano organizzativo-televisivo. E’ una formula in vigore da dieci anni e che a suo
tempo gode dell’appoggio del numero uno del calcio italiano, Artemio Franchi.
“La Roma in sostanza- ribadiscono i telex giallorossi- non ha perduto ma neppure è riuscita a vincere”.
Fortuna che il linguaggio sportivo ha fama di esser chiaro, esplicito, senza peli sulla lingua sennò chissà quali
prodezze linguistiche verrebbero escogitate per far vincere alla Roma una partita semplicemente perduta.
Rovesciamo il risultato e facciamo, l’ipotesi che dagli undici metri avesse vinto la Roma. Voi tutti sapete
benissimo cosa avreste letto e tele-ascoltato: “Il Liverpool è stato piegato ai rigori dopo 120 minuti di
battaglia perché la Roma si è mostrata più calma, più fresca, più tecnica. Non una vittoria della formula
bensì un capolavoro di intelligenza e resistenza. Titolo alto come uno stivale: Gli eroi”.
Naturalmente non c’è nessuno che abbia la decenza di ricordare che la Roma giocava in casa secondo una
formula talmente scema che l’altra settimana a Zurigo l’Uefa ha finalmente deciso di sbarazzarsene. Dal
prossimo anno, la finale sarà sempre giocata in campo neutro, come doveroso per un sacco di buone
ragioni. Nonostante il vantaggio pratico, la Roma ha giocato tesa come se fosse in trasferta; il Liverpool ha
tenuto con calma come se si trovasse a casa. La spiegazione è talmente elementare che noi l’avevamo
anticipata definendo la Roma “sfavorita”.
Il fatto è che il Liverpool ha da anni una disinvoltura internazionale che la Roma nemmeno si sogna, a tal
punto che in campo europeo la squadra inglese è come la Juve nel campionato italiano: fanno notizia
quando perdono, non quando vincono. L’altra sera la Roma si giocava “la storia”, il Liverpool soltanto una
finale, e i due atteggiamenti erano tanto visibili da caratterizzare da soli il confronto.
Si dice che non è stato un grande spettacolo. E’ però stata una grande esibizione tattica, con un Liverpool
sornione e palleggiatore che la Roma ha creduto di addomesticare con una trama ancora più intrecciata, la
sublimazione del “tenere la palla perché intanto non ce l’ha l’avversario” teorizzato da Liedholm. Il football
offre molte opzioni di spettacolo, la più plateale delle quali si conclude naturalmente in gol. Ma ci sono
bellezze impercettibili, meno popolari, più sofisticate, che vanno colte soltanto se al riparo dal tifo.
La Roma ha avuto più timore che coraggio; è rimasta troppo sulle sue perché si è resa conto che con il
Liverpool il rischio di vedersi pesantemente punita era molto alto. I britannici (inglesi, scozzesi, irlandesi) del
Liverpool non giocano secondo lo stantio modello del forcing anglosassone; fanno la zona, la ragnatela, il
surplace, l’improvviso assist. Il Liverpool assomiglia tatticamente alla Roma; su questo piano è più “diversa”
la Juve.
Robe da matti. La maggior parte dei giornalisti ha valutato Falcao con pagelle tra il 6,5 e il 7! Meno male
che Brera ha ristabilito il buonsenso con un 4. Non ci fosse stato lo sciopero della nostra tipografia, avrei
dettato da parte mia un 5 meno meno. Falcao è molto nella Roma: mercoledì è stato pochissimo, ha
giocato con i gesti ma di soli gesti non si vince nemmeno con un incrocio tra Pelè e Von Karajan.
Potente, assiduo, paziente, il centrocampo del Liverpool ha stritolato un Falcao arrendevole, molle nei
tackle, invano sorretto da un Cerezo che a forza di correre si è massacrato con i crampi, togliendo dagli
undici metri un rigorista infallibile. Il pubblico è stato formidabile, Pruzzo ha segnato un gol bellissimo
perché difficile, ma con quel semi-Falcao la Roma non poteva vincere. Al massimo pareggiare, come in
effetti è stato. Falcao deve aver tanto meditato l’appuntamento con il Liverpool da rimanere vittima per
autocombustione. Molti tendono a sottovalutare l’esercizio dei rigori, liquidandolo come una “lotteria”.
Non è del tutto così; dopo 120 minuti alle prese con un ineluttabile verdetto, il dischetto dagli undici metri

si trasforma in un lettino da psicanalista dove si misurano, più che l’abilità di piede, l’integrità nervosa,
l’aplomb interiore, la resistenza all’emozione. Qui esce il freddo più che il bravo; l’esperienza più che la
misura.
Anche la Coppa Uefa 1984 si è risolta con i penalty a vantaggio del Tottenham. Al Mundial 1982 Cabrini
sprecò un flebile rigore sullo 0-0 della finalissima. Vent’anni fa ho visto sbagliare rigori decisivi da
campionissimi come Luis Suarez e Gianni Rivera; con un portiere che ti maledice, un pubblico che ti
opprime, un risultato che dipende da te, a volte la porta si fa incredibilmente piccola anche per gente
smagata.
Il Liverpool ha fatto bene a mandare alla prima battuta il suo ragazzino Nicol, lasciando ai marpioni il
delicato compito di riparare all’errore. Invece di capitalizzare, La Roma ha perso gli occhi e si è vista
sconfiggere da due campioni del mondo, per di più anziani, oltretutto romani! Il massimo della teatralità,
un mistero.
Graziani ha 32 anni, è di Subiaco come Gina Lollobrigida; Conti ha 29 anni, è di Nettuno. Il primo ha
randellato sulla traversa, il suo piede era il più modesto nella nazionale del Mundial; il secondo ha
zampettato alto, battendo con il corpo all’indietro come nel baseball che in Italia è in pratica nato al suo
paese. Al contrario di Graziani, il piede di Conti è il migliore di cui disponesse Bearzot, non a caso lo
chiamano “brasiliano”. Che rabbia.
L’anno scorso la Juve frantumò il suo patetico forcing sulle corazze dell’Amburgo, quest’anno la Roma si è
arresa all’inossidabile compostezza del Liverpool. Da ben undici anni consecutivi la Coppa dei Campioni è
proprietà privata delle squadre tedesche e inglesi: se ciò dipendesse dalla “formula”, sarebbe troppo facile
porvi rimedio. Lo sa soprattutto la Juve che da settembre in poi ritenterà dove è sempre fallita e dove, alla
“prima volta” nemmeno la ragionata Roma di Niels Liedholm ce l’ha fatta. Che strano destino nel 1984: la
Juve ha vinto tutto, la Roma ha perso tutto, anche se tra le due squadre la differenza è irrisoria. Coraggio,
Roma.