1985 Giugno 21 Una mano, tutto
1985 Giugno 21 – Una mano, tutto
Giù, stretti assieme per morire.
“Più il dolore è determinato e preciso – scriveva Cesare Pavese – più l’istinto della vita si dibatte, e
cade l’idea del suicidio”.
No, quell’idea non cade se il dolore si arrende, quando confina con la rassegnazione o, peggio, con
l’impotenza a reggere sulle spalle qualcosa che la vita inaspettatamente ti dedica.
La tossicodipendenza di un figlio.
Conosciamo le statistiche, le morti per overdose, le immense tristezze della droga, le sublimi storie
di recupero, l’infamia dello spaccio, la viltà degli insospettabili conti correnti che lucrano sule cadute
della condizione umana. Conosciamo oggi molte più cose sul fenomeno; giornali e televisione ne
sono quotidiano megafono a tal punto che chi sente o è al riparo o protesta con fastidio che “si parla
troppo di droga”.
Il dramma di Pordenone dimostra che non se ne parla ancora abbastanza.
Chi potrà mai misurare l’angoscia strangolata fra le braccia di quei genitori? Il fantasma della
tossicodipendenza semina vittime di primo e di secondo grado; non è un dramma individuale ma un
collasso familiare, una prova di forza con sè stessi e con gli altri, una sfida di solidarietà che non
risparmia nessuno.
Le morti non sono tutte uguali: questa, scelta nella notte da un piano di condominio come tanti, è un
tonfo al cuore, qualcosa che ti fa riflettere ma t’impedisce di pensare.
Forse è mancata una mano tesa che li trattenesse. Una mano, tutto.