1985 maggio 30 Morte per gioco. Heysel
1985 maggio 30–Morte per gioco Heysel
Gaetano Scirea è un lombardo che fa coincidere la vita con la disciplina. Verso le nove e mezzo, a
massacro compiuto, ha letto in italiano una dichiarazione: «La partita verrà giocata per consentire alla
polizia di organizzare la protezione durante l’uscita dallo stadio. State calmi, giochiamo per voi».
La partita era una precauzione d’ordine pubblico a scoppio molto ritardato. In tanti anni non avevo mai
sentito a Scirea una voce così impastata e atterrita, distante anni luce dall’urlo di quella notte a Madrid
quando l’Italia diede lezione di football.
Mentre lo ascoltavo, cominciavano ad arrivare in redazione telefoto come questa che pubblichiamo in
prima pagina. C’era pericolo di scambiarle con le immagini provenienti da Beirut o dal fronte di Iran e
Irak. La morte a mucchio, la morte per spettacolo, la morte figlia di un gioco, la morte generata dalla
pedagogia.
Lo sport è una virtù, lo si chiede a scuola, lo domanda chi combatte la droga. I romani ritenevano che
anche le idee nascessero migliori dentro un fisico in ordine. A Bruxelles, ieri sera, in uno dei polmoni
della Comunità Europea, tra inglesi che hanno inventato la parola «fair play» e italiani che escogitano
mille raffinatezze della qualità della vita, ieri sera a Bruxelles la morte di massa è sembrata soltanto il
tempo supplementare di una partita come tante.
Non una cosa pazzesca, mai temuta e mai sospettata, non un fiore del male di colpo fiorito dal concime
della violenza. No, il peggio del massacro di Bruxelles consiste nella sua coerenza, come se avesse
soltanto esasperato tamburi lontani, echi raccolti in tanti anni, paure esorcizzate nella retorica dello
sport che alla fine tutto vince.
Non sono ubriachi di birra, ma di nulla interiore; non li acceca l’amore per una squadra, ma il senso del
branco; non li degenera l’uso del tempo libero, ma l’incapacità di stare assieme. Il massacro era finito,
quel vuoto chiazzato di sangue era sotto gli occhi di tutti, eppure li vedevi accendersi ancora, armarsi,
brandire, ripartire, cercare il contatto senza nemmeno sospettare che lo sport è l’esatto contrario della
sopraffazione e che, anzi, se ha sempre avuto un senso è proprio perché si esprime attraverso regole.
Bruxelles ha dimostrato con una folle lapide di vittime che il tifo di massa non appartiene più alla
favola dello sport, la mano sul petto, vinca il migliore con un antico istinto alla bellezza del gesto. I
giornali sportivi continuano a titolare sogni cubitali che non esistono più.
Il troppo denaro, la volgarità dei rapporti umani, lo squadrismo, l’irrazionalità, il profitto che usa tutto e
da tutto si fa usare: dietro questo massacro di gente schiacciata con il biglietto di partita stretto nella
mano, c’è il crepuscolo di una illusione.
Uccidere per sport non è più un presagio.
maggio 1985