1986 giugno 14 Mondiali Messico 86. Entra in campo Zico
1986 giugno 14 Mondiali Messico – [Entra in campo Zico]
La gente sa, se ne intende. Quando, dopo un’ora abbondante di partita ho visto la “camiseta” numero
dieci alzarsi dalla panchina e scivolare a passi felpati in campo, lo stadio di Guadalajara ha fatto
fiesta. Per chi ha palato, un regalo della natura.
Trentatré anni suonati, il callo a grumi di botte, Zico è il “pan di zucchero” del calcio brasiliano.
La mamma voleva farne un musicista e lo fece studiare pianoforte fino a 13 anni: ciò che non gli
riuscì con le mani, lo traferì nei piedi. Si può sognare Horowitz anche tra i bulloni.
Zico è questo. S’allarga in scatto fra tre irlandesi e sembra fomentare un dribbling dei suoi.
Senonché lui non si muove da solo, come quelle sciagure di automobilisti che ignorano lo
specchietto retrovisore. Zico esalta il radar del gioco, sbircia il compagno da un lembo di pupilla, e
lo delega in gol con un colpo di tacco. La suola meglio di una carezza.
Arthur Antunes Coimbra, detto Zico, porta negli occhi un velo di malinconia portoghese pari alla
“alegria” del suo tocco. Ma nulla fu facile nel suo talento, e mai sarebbe diventato Zico senza fatica.
Di Valery Borzov, bionico velocista ucraino, dicemmo nei primi anni settanta che era un
prodigio di laboratorio. Anche Zico si definisce “atleta artificiale” per aver vinto, giorno dietro
giorno, la gracilità di ragazzo, 37 chili di peso, un torace da canarino, le gambe senza muscolo.
Domenica 24 luglio 1983, il nostro giornale uscì in Friuli con questo titolo di prima pagina: “Ora
Zico è nostro!” Era la conclusione di un duro match con la Federazione italiana, intenzionata a
impedirne l’acquisto da parte dell’Udinese. Tre anni dopo, Zico è di tutti. Né nostro né dei brasiliani,
soltanto del Mundial. In pochi minuti, quel colpo di tacco ha infiammato il dolce crepuscolo di un
Campione.