1987 agosto 7 Il caso del giorno
1987 agosto 07 – Il caso del giorno
Più che trovare colpevoli, la Dc veneta dovrebbe cercare ragioni. Anche perché, nell’azzeramento della
sua presenza dal governo Goria, chi è senza peccato scagli la prima pietra. E non arriverà nemmeno un
sassolino: anzi si ha l’impressione che se De Mita Scotti e Goria la dicessero proprio tutta, un qualche
imbarazzo ne deriverebbe per più d’uno anche nel Veneto.
Roma di colpe certamente ne ha, e molte, ma a volte può diventare un bersaglio persino troppo
comodo, quando serve a occultare piccoli calcoli di un grande partito: la Dc veneta appunto. Una forza
popolare deve uscire dal chiuso, lavorare di più all’aperto.
Perciò il dibattito di questi giorni è positivo sotto ogni punto di vista. Colpiscono la sua sana virulenza,
il suo rifiutare l’ipocrisia, la sua capacità di esporre uomini e correnti con nome e cognome.
Perché il problema non sono le correnti in sé. Qui si assiste anche tra i dc a un non trascurabile
equivoco.
È impensabile immaginare un partito di massa, interclassista e mediatore d’interessi come la Dc, senza
correnti. Ci sono deputati che si affidano ai coltivatori diretti, altri agli artigiani o ai commercianti, altri
alla base cattolica, altri all’imprenditorialità diffusa o a comunione e liberazione, e così via: aldilà delle
diversità politico-culturali, è la stessa organizzazione del consenso a determinare le correnti.
Del resto, in una società frammentata e in movimento, sarebbe curioso che i partiti fossero dei
mammuth, leninisticamente centralizzati. Lo stesso partito comunista è in preda a una grande
mutazione, mentre le correnti delle Dc o di altri partiti – se anche producono sciagurate lottizzazioni …
alla Zamberletti – finiscono almeno con il rappresentare in periferia l’ultima resistenza allo strapotere
degli apparati e delle segreterie nazionali. Una dose di anarchia nella burocrazia.
Quando parla di «unità», la Dc veneta s’inganna di grosso se immagina la fine delle correnti. Non solo
perché chi la sbandiera tende quasi sempre a una «sua» super-corrente, ma perché l’unica «unità»
praticabile è quella di sintonizzare leaders, gruppi e correnti ogni volta che sono in ballo interessi
dell’intera Dc veneta e, soprattutto, dell’intero Veneto a prescindere dalla logica di partito.
Sull’ordinaria amministrazione regionale ci si può anche diversificare negli accenti e nelle idee; è sulla
straordinaria amministrazione che il ruolo complessivo del Veneto deve guidare il partito del 43,6%,
non viceversa. A volte si ha la certezza che preoccupazione primaria di una corrente sia soltanto quella
di limitare il potere dell’altra corrente, quando invece la svolta nella Dc veneta non può che consistere
nell’assemblare i poteri di clan in un’unica, strategica proposta.
Ha ragione Sandro Fontana, che veneto non è, quando ribadisce che la questione veneta è questione
nazionale e che, se tale intende restare, ha bisogno semmai di contare di più, non di ghettizzarsi per
protesta. Il caso della Dc veneta riguarda, più che lo stesso partito, un modo di fare politica. Questo sì
da aggiornare.
agosto 1987