1987 aprile 09 Il filo di seta
1987 aprile 09 – Il filo di seta
Quando otterrà la diretta, Berlusconi manderà Baudo o la Carrà con le telecamere in Parlamento
affidando la politica spettacolo a gente di spettacolo, magari mozzando la parola in bocca a Craxi e De
Mita con un costosissimo spot sui pannolini lines. Ma, nell’attesa di nuove espansioni della tv
commerciale, non si vede come la Rai, ente pubblico fondato sul canone, possa giustificare con la
mancanza di spazio la rinuncia alla diretta dal Senato sul dibattito della più insincera crisi di governo
della storia della Repubblica.
La televisione di Stato «deve» trovare lo spazio soprattutto quando, come ieri, ha la possibilità di
rappresentare un servizio e di offrire alla gente ciò che lo stesso Cossiga aveva formalmente chiesto:
spiegazioni pubbliche, assunzione diretta di responsabilità dei partiti. L’opinione pubblica avrebbe
colto anche visivamente la tensione, le incongruenze, il gioco di fioretto e di clava che pesano oggi sui
rapporti politici.
Un’immagine va presa a simbolo delle troppe contraddizioni di questa crisi: Craxi che apre il dibattito
avendo ai lati, al loro consueto posto di governo, il vice-presidente del Consiglio democristiano Forlani
e il ministro degli Esteri democristiano Andreotti, vale a dire i due più rappresentativi esponenti del
partito, la Dc, che poco prima si era ufficialmente ritirato dalla coalizione. Certo, il rito lo suggeriva, la
cortesia lo consigliava, ma non occorre essere degli incalliti dietrologi per avvertire tutta l’ambiguità
del momento tra un governo che «non esiste più» secondo l’epitaffio di De Mita e un’alleanza affida
l’ultimissimo spiraglio – e soprattutto il suo dopo legislatura – proprio alla mediazione di Forlani e alle
infinite risorse di Andreotti.
I quali sanno benissimo che l’ultimo congresso craxiano ha deluso i comunisti pronti ad accusare i
socialisti di «pregiudizi» nei loro confronti; sanno anche che, nel discorso di chiusura, Craxi definì
quella dei comunisti «una politica sbagliata su questioni essenziali di politica estera e interna»; sanno
dunque che, a dispetto del contro muso sui referendum, la crisi fu aperta senza alternative e che
nessuno ha ancora prefigurato un’alternativa davvero politica al pentapartito. Qui non si tratta di
vincere o di perdere, secondo una semplificazione da schedina del Totocalcio, bensì di riportare la crisi
ad un minimo di concretezza che tutti dicono di perseguire e che nessuno applica nei fatti.
Di ora in ora si consuma così il paradosso di un governo dato per morto e sepolto mentre sembra
bastare pochissimo al superamento dell’unico problema sul tappeto: l’effettuazione del referendum sul
nucleare che trova socialisti e socialdemocratici favorevoli, liberali e repubblicani possibilisti,
democristiani contrari eppure portatori, durante il recentissimo incarico ad Andreotti, di margini di
disponibilità attraverso la moratoria o l’attribuzione di valore soltanto consultivo ai già limitati quesiti
referendari. Il pentapartito sta insomma facendo il tiro alla fune con un filo di seta. Nasce qui lo
sconcerto della gente e la voglia di uscirne, pur consapevoli che tutto il sistema dei partiti e del potere
sta entrando in una fase di non facile transizione.
La stabilità e i risultati del governo Craxi sono stati il frutto anche di una buona congiuntura mondiale,
ma proprio ieri il Fondo monetario internazionale ha annunciato l’inversione di tendenza, con calo del
tasso di crescita e aumento della disoccupazione dell’88-89. Chissà se faremo un referendum per
abrogare anche il buonsenso.
aprile 1987