1987 dicembre 16 Un consiglio utilissimo
1987 dicembre 16 – Un consiglio utilissimo
Aveva detto Tomassini: «Bisogna tutti rinunciare a qualcosa». In molti gli hanno dato retta,
rinunciando alla dignità personale o di partito.
Questo partito socialista di Venezia sta tenendo in scacco da tre mesi la Città. Né Craxi né De Michelis
né La Ganga possono qualcosa: i franchi tiratori, forse anche qualche voto di scherno a Degan, sono la
traduzione segreta di un accordo falsamente palese. Se ne fregano; tra Laroni e Rigo corre più distanza
che tra Boato e Rocchetta.
I Dogi, quelli veri, debbono rotolarsi nelle tombe. Venezia ha battuto tutti i record in un’Italia che pur
offre un campionario tra i più fantasiosi.
La Giunta dei 4 si è presentata con un documento raccogliticcio, tutto di marca socialista, al quale la Dc
– partito di maggioranza all’interno della coalizione – aveva dato il contributo di qualche avverbio. Un
documento sciatto, rionale, scritto in un italiano decrepito quanto la crisi: l’esordio è segnato da un
«incipit», la conclusione da un «ordito». Il lessico della vaghezza politica.
Aritmetica alla mano, i franchi tiratori sono socialisti e democristiani. Un onesto come Degan ha
sentito il dovere di distinguersi: «Mai nella vita ho fatto il franco tiratore».
Forse ha ragione Bosello. A volte il franco tiratore non è uno spregevole bugiardo del voto; soltanto
uno che si difende come può dallo stupro delle segreterie di partito, che riducono tutti al rango di
peones. Mentono nell’urna perché gli accordi non sono accordi, ma forzature di vertice. I «ribelli» del
gruppo Rigo sono stati presi a ceffoni; reagiscono con l’arsenico.
Quando i portaborse hanno cominciato a ronzare attorno ai votanti, per sbirciare la disciplina di partito,
l’ultima umiliazione è stata inferta al parlamento di Venezia. Hanno dovuto cambiare locale per
garantire una segretezza sempre più pelosa; due messi del Comune hanno attraversato la sala andando
ad improvvisare un paravento di cartone.
In tre votazioni Laroni ha contato franchi tiratori sempre più numerosi e si è fatto superare da De
Piccoli. Il primo cittadino, il sindaco-manager non ha battuto ciglio, non una sillaba, non un gesto di
reazione. Ci si aspettava che infilasse la fascia tricolore e ritirasse il nome dal tiro a segno. Non lo ha
fatto, badando più a Craxi che a sé. I sindaci passano, i San Sebastiano restano, per essere risarciti.
La Dc assomiglia a una confederazione di consiglieri. Pezzo per pezzo, ha un gruppo passabilmente
tagliato su incarichi di giunta ma, nonostante la consistenza, ha il complesso dello zerbino. Nel togliere
il Comune alle sinistre, ha rinunciato a qualsiasi ruolo a vantaggio dei socialisti. E oggi fa fatica non
soltanto a compattarsi su un leader ma anche a muoversi a tuttocampo, come si dice. Se imparasse ad
essere almeno un po’ più «craxiana», riuscirebbe a decidere qualcosa, uscendo da un’apatia che trova
vigore soltanto nel chiuso delle candidature agli assessorati.
Teatralmente ineccepibile, il consiglio comunale di lunedì sera è stato utilissimo. Perché ha chiarito
molte cose con l’evidenza dell’inappellabilità. Non esistono né pentapartito né quadripartito data la
plateale doppiezza dei socialisti e la sotterranea friabilità dei democristiani.
Si corre sul filo delle elezioni anticipate, che a Roma nessuno vuole: i comunisti non ancora pronti a
nuovi test elettorali; i democristiani e i laici consapevoli che Venezia non è una scheggia impazzita ma
un tassello importante della governabilità, esattamente come Milano. Gli unici a non temere le elezioni
sono paradossalmente i socialisti, a cominciare da De Michelis: soltanto nel rifare le liste potrà tentare
di forzare il rapporto fra i due tronconi interni.
Esiste anche un «partito del commissario», che coincide con la rassegnazione al deserto delle intese.
Ma non tutto risulta azzerato, come si coglie da due recentissimi interventi di Visentini e Cortese sul
nostro giornale e da segnali accesi qua e là nell’ultimo consiglio. Non tali da farne ancora un «ordito» –
vagherebbe il documento del fu quadripartito – e tuttavia non tanto flebili da apparire vani.
Se dieci giorni fa Visentini ha detto no a un incarico da «esploratore», secondo la proposta di
Tomassini, è certo che il gran rifiuto del professore non si ripeterebbe se l’iniziativa partisse alla luce
del sole, ad esempio della Dc. Congelati dal 1985, i repubblicani rappresentano probabilmente l’ultimo
appello di una «giunta delle cose» su 4/5 accordi, a cominciare dall’ospedale, dai fondali, dallo stadio.
Una giunta di sinistra Visentini non la farà; una giunta aperta sì.
Ma un consiglio che sbaglia persino le procedure, potrà inventarsi una emergenza amministrativa per
l’emergenza Venezia?
dicembre 1987