1987 gennaio 06 Buon compleanno, Europa
1987 gennaio 06 – Buon compleanno Europa!
• 1957-1987: trent’anni fa nasceva la Comunità Economica Europea
• L’Europa dei 12 ha una popolazione di 320 milioni di cittadini
• Quali gli ostacoli ad una unione sempre più stretta e proficua
La nostra Europa, come Patria dello spirito, nasce con le parole pronunciate nel 1949 a Berna da
Eugenio Montale e che Spadolini ha non casualmente posto a prefazione del suo recente «L’idea
dell’Europa» (Le Monnier).
Aveva detto il poeta: «Oggi l’Europa, anzi il mondo, chiede all’Italia films di pezzenti, di lazzaroni,
pittoresche documentazioni del suo dolce far niente; domani le chiederà lezioni di tolleranza e di
buonsenso, di schietta aderenza alla vita e di classico, naturale umanesimo».
Sul «continente-cadavere del 1945» il crisantemo della guerra iniziava già a rosseggiare come un
papavero di speranza, e di memoria, per «l’Europa cristiana» di Voltaire, l’Europa «della società
civile» di Gibbon.
La nostra Europa, come sintesi di popoli, nasce ancora prima dei trattati, dei piani e delle comunità.
Lievita segreta e preventiva anche nelle parole di dignità pronunciate da un trentino a Parigi, di fronte a
mille persone, i vincitori della seconda guerra mondiale: «Sento che tutto, tranne la vostra personale
cortesia – affermò Alcide De Gasperi a nome del nostro Governo – è contro di me e soprattutto la mia
qualifica di ex-nemico che mi fa considerare imputato… Ma io ho il dovere innanzi alla coscienza del
mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano…».
Nel suo ultimo libro, «De Gasperi visto da vicino» (Rizzoli), Giulio Andreotti ricorda che – con i
collaboratori più stretti – lo statista era solito chiamare la Conferenza di Parigi il «Calvario della Pace».
Farci accettare da vinti e farci credere per la democrazia che volevamo restaurare, fu un vero calvario,
da percorrere a piedi scalzi tra le diffidenze straniere e la partigianeria interna. Quando De Gasperi
chiese alle Camere l’ingresso nella Comunità Atlantica, il socialista Nenni rinfacciò al Governo una
politica di «odio» mentre il comunista Togliatti lo accusò di aver «venduto l’Italia».
È l’Europa laica e cristiana ad aver convertito neutralisti d’ogni colore; è l’Italia della democrazia ad
aver convinto ad arrendersi al riformismo i dogmatici del partito unico e della lotta di classe. Questa
Europa ha vinto, in pace, senza far vittime, la sua più insidiosa guerra.
«L’Europa è oggi colma di fiducia e in pieno progresso» poteva così scrivere già nel 1961 il giornalista
americano John Gunther, mentre, quasi contemporaneamente, «Le 19 Europe» di Raymond Cartier
concludevano le 600 pagine con un avvertimento mai tanto attuale: «L’Europa spezzettata non uscirà
mai dalla sua presente precarietà e, non avendo forza politica intrinseca, sarà ghermita o sommersa
dalla colossale potenza che confina con essa. Le occorrono i suoi Stati Uniti per essere in grado di
affrontare il proprio avvenire».
1957-1987, i trent’anni della Costituzione della Comunità Economica Europea sono un buon
compleanno, soltanto a patto che non cada la tensione sulle grandi prospettive. Non tanto la mancanza
di un bilancio finanziario per il 1987 o il fatto che «sul piano dell’apertura delle frontiere abbiamo
percorso soltanto un quinto del cammino», come precisa il presidente della Commissione europea
Jacques Delors.
Sullo sfondo dei mezzi mercati, delle tardive riforme e degli interessi incrociati («I want my money
back», chiede sterline in restituzione la Thatcher), bisogna far camminare l’utopia del possibile, cioè –
come profetizza Luigi Einaudi – la rinuncia da parte degli Stati ai diritti sovrani.
L’Europa degli Stati forse riuscirà a realizzare entro il 1992 il suo vero mercato europeo, ma saranno
gli Stati Uniti d’Europa a fare la storia del Terzo Millennio se la graduale unità nelle diversità ridurrà
dogane, monete e visti al passato remoto di un mondo diviso e pre-tecnologico.
Negli Usa gli americani di lingua spagnola sono quasi 20 milioni, i negri 28; i gruppi etnici sono 100,
50 dei quali con una consistente popolazione. Alcuni esperti prevedono fra tre anni il sorpasso su tutti
da parte del gruppo formato da americani negri e bianchi di lingua spagnola. Altri come John Naisbitt,
autore di «megatrends», è pronto a scommettere che entro la fine del secolo gli Usa saranno un Paese
bilingue, inglese e spagnolo.
Se quello che stiamo vivendo qui o in America è davvero il «tempo delle parentesi», una specie di terra
di nessuno dove si abbozza e si seleziona il domani, trent’anni di Europa possono valere un minuto!
Allora, con l’ottimismo della pazienza, «c’è una sola cosa da fare: rifarsi». L’invito di un poeta può
arrivare al cuore della gente meglio e prima di mille direttive di Bruxelles.
gennaio 1987