1987 giugno 16 Craxi – De Mita, che facciamo?
1987 giugno 16 – Craxi – De Mita, che facciamo?
Non abbiamo fatto i disertori, non ci siamo esercitati nell’agnosticismo della scheda bianca. L’Italia ha
preferito scegliere; l’Italia del Nord rivendica con più forza il voto di responsabilità. Questo è un primo
risultato, per il quale si era battuto anche il nostro giornale.
In attesa di analisi documentale dai dati definitivi, alcune cose emergono con chiarezza. Hanno vinto
Dc, il Psi, i Verdi; hanno perso il partito comunista, i laici, il movimento sociale. Radicali e soprattutto
demoproletari possono essere soddisfatti.
Tra i due litiganti, il terzo non gode. Il duello rusticano tra De Mita e Craxi ha premiato entrambi
perché la personalizzazione dello scontro ha avuto agli occhi degli elettori almeno il pregio di
enfatizzare le differenze. E si sa che, pur con tutti i difetti, l’enfasi contribuisce almeno a semplificare il
messaggio. Senza contare che gli italiani, mai sprovvisti di senso sportivo, prediligono la partita senza
esclusione di colpi alla melina.
Nei commenti dei leader è prevalso un linguaggio problematico: «proliferazione, frantumazione,
polverizzazione, instabilità, difficoltà, situazione ingarbugliata, confusione politica». Il pessimismo
sottintende due problemi di non poco conto, anzi uno peggiore dell’altro: le scorie accumulate in
quattro mesi tra Craxi e De Mita sugli equilibri di potere e di ruolo tra Dc e Psi; la frustrazione dei tre
partiti laici, cui nessuno leverà dalla testa la convinzione d’essere serviti da materasso.
Mentre si pone con sempre maggior forza il problema di modificare il sistema elettorale in funzione
della governabilità, il voto pone questioni molto crude, sulle quali è inutile arzigogolare. I
socialdemocratici sono maturi per la fusione con i socialisti; non si vede come repubblicani e liberali
non possano prima o poi chiedersi se non valga la pena di accorpare un polo laico, in nome della
razionalità.
Non è quindi vero che l’infinitesimale esercizio delle percentuali all’italiana ha lasciato tutto come
prima. I comunisti erano in grave crisi d’identità prima della caduta del pentapartito; avrebbero
certamente pagato un prezzo molto più alto se la maggioranza non avesse dato loro una mano. La
sconfitta di oggi li obbliga a dare velocità alla trasformazione in senso socialista: unica premessa per
sbloccare presto la democrazia, attraverso una dialettica di modello europeo tra una grande area
moderata e una grande area riformista.
Gli elettori hanno fatto in pieno il proprio dovere; i politici intelligenti imparano le lezioni, senza
cedere alla tentazione di processare chi li ha delusi. Questa è la regola fondamentale di ogni
democrazia, soprattutto di una democrazia articolata come la nostra che ieri ha anche visto nascere un
nuovo sole, forse scomodo come quello dei Verdi, ma simbolo di inquietudini spesso snobbate dal
Palazzo.
Questo voto non ha risolto le cose; ne ha suggerito moltissime.
giugno 1987