1987 giugno 2 Quelle vecchie pagine
1987 giugno 2 – 100 anni di Gazzettino – Quelle vecchie pagine
Non siamo nati ieri. Un giornale che compie 100 anni deve fare i conti anche con la Storia, che spesso è
una scomodissima compagna di viaggio. Si può fingere di non avere un archivio o si può scegliere di
andarlo a frugare fino in fondo, sapendo che le raccolte di un giornale popolare – più che rappresentare
una testata – fanno indissolubilmente parte della memoria collettiva.
La cronaca genera il giornale; il giornale è figlio del tempo. E, per quanti roghi di carta scritta siano
stati attizzati nei secoli, nulla potrà mai cancellare ciò che è stato stampato. L’ultimo che ci ha provato è
Pol Pot, un marxista cambogiano formatosi a Parigi, culla dell’illuminismo: nel tentativo di azzerare la
Storia per allevare l’«uomo nuovo», svuotò le città, annientò tre milioni di «vecchi uomini», proibì che
i nonni raccontassero ai nipoti persino i ricordi le favole gli aneddoti i suoni del passato, non dimenticò
di distruggere le biblioteche, tutto quanto stava scritto.
Nessun genocida ha avuto la coerenza di Pol Pot, che aveva lucidamente capito come non si possa
uccidere il passato se non a prezzo di cancellare la parola scritta. L’oppressione comincia sempre da
una riga; la prima libertà da sopprimere è sempre quella di stampa.
Su ciò abbiamo riflettuto nel pubblicare, giorno per giorno, da alcune settimane e su ciascuna delle
nostre dieci edizioni, vecchie pagine del Gazzettino. Come far scivolare sotto gli occhi dei lettori
mondi già distanti anni luce, stili di vita nemmeno paragonabili, che producevano stili di scrittura sui
quali oggi riusciamo soltanto a sorridere, titoli non ancora gonfiati dall’enfasi del “colpo” giornalistico,
antenati degli spot tali da rendere la pubblicità un timido sussurro.
Ma la nostra non voleva ridursi a una ricerca sul linguaggio del tempo o sulla confezione dei giornali
d’epoca. Era una operazione di sincerità e di conoscenza, soprattutto con le pagine del Ventennio.
Quando, in apertura di pagina, si leggeva dell’onomastico della «Regina Imperatrice». Quando il fondo
del direttore si concludeva con «Saluto al Duce! A Noi!». Quando si decretavano a piene colonne
«Entusiastici consensi alla politica razziale dell’Italia fascista» ricordando che «l’Internazionale ebraica
tentò con le sue manovre di affamarci e di colpirci alle spalle».
Era la stagione del fascismo di massa, dei giornali sequestrati e trasformati in fabbriche del consenso,
della retorica solo in apparenza innocua e benpensante. La stagione del silenzio della democrazia,
messa a tacere dall’urlo di Regime.
Quelle vecchie pagine di giornale, così omogeneizzate in tutti i quotidiani, non vanno prese per
folklore, un appuntamento con l’infinitamente rimosso dalla Storia. A noi tutti, senza distinzione d’età –
e persino ai ragazzi che scambiano Bach per la marca di un deodorante o Gagarin per un ballerino –
suggeriscono che la libertà non è mai un regalo.
La libertà è il più faticoso parto della Storia.
giugno 1987