1988 aprile 24 Dovere d’ufficio
1988 aprile 24 – Le riforme non sono un libro dei sogni
Anzi, un…Dovere d’ufficio
Governo. Fiducia anche dal Senato
Un «sì» e molti però…
Con i due voti di fiducia è nato il governo De Mita. I cronisti della Camera hanno notato che, durante la
replica, il presidente del Consiglio si è rivolto sette volte a Natta mentre il segretario del Pci ha
osservato da parte sua che mai De Mita aveva pronunciato la parola pentapartito. Il governo
«innominabile» rappresenta una rottura con il passato: per la prima volta la riforma delle istituzioni
diventa programma. Il dibattito è concluso; la transizione non può restare terra di nessuno; il
programma viene definito «la Bibbia» della nuova alleanza; ai comunisti si chiede «qualcosa in più»
perché le riforme sono tante e super partes.
De Mita ha guidato le cose da leader tenace; Craxi ha contribuito in maniera decisiva a interrompere la
spirale che da un anno e mezzo teneva in ostaggio l’ultima reputazione del sistema; La Malfa ha
sempre lavorato perché la responsabilità del fallimento o della soluzione ricadesse inesorabilmente su
De Mita e Craxi. Un governo che nasce su queste basi non ha più l’alibi di Goria, costretto a volare
basso dal disimpegno generalizzato dei partiti. La transizione di Goria preparava semplicemente un
altro governo; la transizione di De Mita propone «nuove regole». La prospettiva di Goria era di
giornata; quella di De Mita prenota il tempo utile per «rifare i meccanismi di governo».
Tutto si potrà perdonare domani a questo governo tranne l’inerzia, nel senso che De Mita ha puntato
tutto sulla premessa istituzionale: senza realizzare quella, non ci sarà governo. La crisi della politica è
oggi tale da condizionare l’efficienza, la credibilità, il corretto contatto fra i cittadini e lo Stato. De Mita
ha approfondito meglio di altri questo disagio e propone una «stagione che cambierà gran parte di noi»,
anche se sarà proprio il governo a dover cambiare per primo, senza risse…
Per arrivare attrezzati all’appuntamento con l’Europa aperta del 1992 l’Italia dovrà ridurre il deficit
pubblico al ritmo di 7-8 mila miliardi all’anno e offrire alle imprese private servizi pubblici meno
arretrati rispetto alla concorrenza internazionale. E’ certo che nessun governo, per quanto bene
intenzionato, riuscirà a infilare due traguardi tanto rivoluzionari se non daremo anche all’esecutivo la
forza delle altre democrazie europee Non si potrà stare in Baviera con l’economia e nel Sahara con la
politica; e sarà sempre più illusorio ritenere che gli italiani possano cavarsela all’infinito rendendo
superfluo il buongoverno.
Non è più tempo di miracoli spontanei; oggi più che mai e domani più di oggi, i processi vanno
accompagnati passo a passo da Poteri funzionanti. Il che significa, per il governo De Mita, aggiornare
la presidenza del Consiglio, sottrarre il Parlamento alla paralisi da regolamento, porre limiti ai doppioni
del bicameralismo, nobilitare il voto palese, combattere l’immoralità anche attraverso procedure più
semplici, più ferme, meno discrezionali.
Tanto per cominciare, non è un pacchetto da poco, ma è anche il minimo che si possa pretendere da
quando la tecnica del rinvio ha provocato il cumolo dei problemi: non per nulla un grande costituente
cattolico come Giuseppe Dossetti sostiene che le riforme devono essere immediate e profonde. Pari
cioè all’urgenza di un sistema troppo precario nelle strutture per reggere il pieno impatto dell’Europa e
per preparare la democrazia all’alternanza.
Il governo De Mita è un dovere d’ufficio imposto dalla realtà, non un libro dei sogni. Può rappresentare
una svolta soltanto se il riformismo non si rivelerà un nuovo trucco per riverniciare «regole» vecchie.
In tal caso non sarà difficile – ma per nulla risolutorio – scoprire chi bluffa.
aprile 1988