1988 febbraio 4 Politica la prima riforma
1988 febbraio 04 – Politica la riforma
Altro che lira pesante! Il Governo più leggero del dopoguerra è oramai prigioniero di quel grande
«inghippo» – definizione data da Nilde Iotti – della legge finanziaria. Passano emendamenti d’ogni
genere, saltano interi articoli; si dissolve il senso politico di alcuni tagli di spesa, come nel caso della
sanità. I franchi tiratori si contano a decine, non di rado a centinaia.
Di coalizione nemmeno parlarne, ma non esiste nemmeno l’aritmetica della maggioranza. Tutti gli
interessi di partito e le trame di corrente mettono la maschera nel voto segreto e vi celebrano il trionfo
del «gioco». Se si vogliono riformare le regole, la Finanziaria funge in questi giorni da prototipo del
malessere delle istituzioni.
Il dramma è che, a forza di puntare sulle architetture neo-costituzionali, si sta perdendo di vista la
politica in senso stretto, quel patto senza il quale nessun esecutivo può funzionare. Goria arbitra una
partita giocata da altri dove il domani prevale sull’oggi senza che nessuno s’impegni né sul breve né sul
medio termine. La transizione si fa sistema.
Non si tratta soltanto della Finanziaria. In questo Governo ciascuno dice la sua come al «processo del
lunedì», confondendo l’opinione pubblica su temi già di per sé delicatissimi. Due esempi per tutti: la
centrale elettronucleare di Montalto di Castro e i cacciabombardieri F 16 che gli americani saranno
costretti a trasferire dalla Spagna in altra base Nato.
Per il ministro dell’Industria Battaglia s’ha da completare il più alla svelta possibile la centrale atomica;
per i socialisti, occorre un altro supplemento di’istruttoria che verifichi se può essere trasformata in un
impianto a gas. Il ministro della Difesa Zanone ritiene che gli F 16 possano essere trasferiti in Italia ma
Craxi ha detto no a Comiso aggiungendo una battuta: «Potrebbero andare in Portogallo».
Non esiste una sola questione che riesca a cementare il pentapartito mentre si consuma la via crucis
della Finanziaria. In fondo, non sorprende la quotidiana precarietà di un Governo nato senza alleanza, e
che anzi prelude a nuovi assestamenti di potere. Colpisce semmai la sua resistenza, e almeno un merito
ce l’ha: di aver chiarito fino in fondo che non basterà nemmeno l’accordo istituzionale per dare al Paese
un vero Governo. Bisogna reinventare una formula, un patto, un leader.
febbraio 1988