1988 giugno 12 A chi l’eredità’
1988 giugno 12 – A chi l’eredità
E’ morto l’ex Capo dello Stato Giuseppe Saragat
Il socialismo perde un padre
Gli diedero del «fascista» nonostante 17 anni di esilio in Austria e Francia. In quel lontano 1947, nei
giorni che videro nascere questa nostra repubblica, Giuseppe Saragat aveva compiuto agli occhi della
sinistra comunista e socialista una imperdonabile nefandezza: aveva fondato la socialdemocrazia.
Aveva spaccato il fronte popolare e il tabù unitario; scelto l’Occidente; ripudiato quasi tutto del
marxismo optando per il riformismo di Turati. Aveva soprattutto rivendicato l’autonomia della
tradizione socialista italiana rispetto al partito comunista. Come radere al suolo la chiesta staliniana e
massimalista per la quale Turati era un traditore, Saragat un venduto all’America, il riformismo una
«zavorra» al servizio della borghesia.
Senza Saragat si capisce poco dei comunisti di oggi e tantomeno di Craxi. Senza la sua scissione e la
sua eresia, la sinistra avrebbe fatto troppo tardi i conti che sta facendo con la storia. E forse, senza quel
coraggioso chiamarsi fuori da un Psi al servizio del Pci, la stessa democrazia italiana avrebbe corso un
pericolo mortale.
Era un Psi ausiliario, un socialismo subalterno, pronto a tutte le parole d’ordine di un Pci
leninisticamente organizzato. Anche nei simboli il Psi mutuava da una tradizione non sua, la
bolscevica; le campagne di tesseramento facevano riferimento allo slogan del Manifesto di Marx e
Engels «Proletari di tutti i paesi unitevi». E ancora nel 1956, al Congresso di Venezia, i Vecchietti, i
Luzzatto, i Valori venivano chiamati «carristi» per aver avvallato senza battere ciglio le giustificazioni
offerte da Togliatti ai cingolati sovietici per l’invasione ungherese.
E’ storia di oggi. L’intuizione di Saragat, attraverso un cammino tortuoso e spesso impervio, ha vinto
alla distanza. Con un paradosso soltanto apparente, la stagione più alta della socialdemocrazia si
realizza nel momento di maggior disagio del partito socialdemocratico, la sua creatura. Perché a
lievitare è stata un’idea, non un partito; una prospettiva, non una gestione.
L’anomalia di un’Italia con un Pci al 33% e una Dc senza alternativa si sta rapidamente mitigando
soltanto perché un inesorabile bradisismo modifica i rapporti di forza a sinistra.
Dove Craxi è più figlio di Saragat che di Nenni, anche se la retorica di partito non lo contempla.
Quando si farà la storia del socialismo del dopoguerra, non potrà non risultare agli atti che Saragat
fondò l’autonomia e che Craxi l’ha rifondata, finalmente punto di non ritorno per stare con la «grande
riforma» in Europa.
Quarant’anni dopo, è cambiato quasi tutto a sinistra. Il Pci egemone resta un remoto ricordo e,
incalzato dal Psi, si vede costretto a inseguire non senza affanno un’identità su parametri socialisti. Tra
mille agguati e ipocrisie, la «religione della libertà» ha laicamente camminato anche per conto terzi a
dispetto dell’ideologia, degli apparati, del mito proletario. E la lezione della socialdemocrazia, in
anticipo sui tempi del socialismo nelle scelte di campo, vi ha aggiunto con puntiglio il senso di una
socialità progressista, al riparo dalle utopie della rivoluzione e della lotta di classe.
Un paio d’anni fa Giuseppe Saragat ha detto: «So che l’opinione socialdemocratica si allarga e che il
mio partito non cresce come vorrei. Ma non ho rimpianti: anche il Vangelo dice che se il chicco di
grano non muore, non produce frutti». Il suo chicco di grano seminato nel 1947 tra roventi falci e
martelli, ha dato frutto.Conta poco la consistenza del suo partito: conta infinitamente di più l’aver
avviato – quando nulla era facile – un processo di revisione allora minoritario e irriso dai vetero-
marxisti.
Saragat ha lasciato al Psi e al Pci più di quanto non abbia dato al Psdi. E’ stato il profeta di una nuova
sinistra.
giugno 1988