1988 maggio 15 Dove porta Kabul
1988 maggio 15 – Dove porta Kabul
L’Armata Rossa torna a casa: l’aveva mandata Breznev, la ritira Gorbaciov. Nove anni di guerra hanno
provocato oltre un milione di morti e cinque milioni di profughi; Amnesty International ha
documentato la tortura e le atrocità; i civili hanno pagato, pagano e pagheranno l’odio che l’invasione ha
alimentato tra guerriglia e regime comunista.
La sconfitta degli Usa in Vietnam fu fotografata dalla precipitosa fuga dell’ambasciatore in elicottero:
teneva sotto il braccio, ripiegata come un asciugamano, la bandiera a stelle e strisce. La ritirata
dell’Urss dall’Afganistan non è una rotta, ma ratifica un dramma forse ancora più acuto, perché si
consuma alla frontiera dell’impero, nel cuore della sua zona d’influenza, nell’area strategica del
movimento islamico.
L’aggressività e il sacrificio del soldato Ivan non sono serviti a nulla. Per la prima volta dalla fine della
seconda guerra mondiale paga la violenta frustrazione di aver perso sia militarmente che politicamente:
il regime che lascia a Kabul è molto più debole di quello che nove anni fa s’era illuso di puntellare.
Senza contare che l’Urss ha saputo troppo poco di questa sudicia guerra per capire i suoi reduci, i suoi
morti, il sangue inferto e lasciato a un «paese fratello» che aveva salutato come «gloriosa rivoluzione
d’aprile» il colpo di stato comunista di dieci anni fa.
Soltanto 48 ore fa, la «Pravda» ha rivelato – non era mai accaduto! – il nome del comandante delle
truppe di occupazione sovietiche. Alle prese con il dogma leninista secondo il quale ogni valore si deve
piegare ai fini della «causa socialista», il riformismo di Gorbaciov non ha potuto che affrontare la
«piaga» dell’Afghanistan con gradualità, prudenza, badando a dosare le informazioni per non creare
nell’opinione pubblica russa, per quel po’ che esiste, uno choc da trasparenza.
Importa poco che il disimpegno dall’Afghanistan sia dettato da una serie di calcoli, a cominciare dal
discredito internazionale e dalla certezza di non poter vincere. Conta infinitamente di più che
Gorbaciov abbia mantenuto le promesse; che sia ricorso alla sola dottrina del realismo; che a un potere
burocratizzato e militarizzato come quello sovietico abbia fatto accettare la demitizzazione tanto dei
cingolati con la stella rossa quanto del ruolo di Paese-guida.
Gli esperti avvertono che la questione Afghanistan non si chiude con la partenza dell’Armata e che, se
forti sono le speranze, non pochi sono i rischi di un nuovo Libano delle fazioni. Ma il 15 maggio
resterà una data rivoluzionaria: la sconfitta dell’Urss coincide con la vittoria del suo leader.
Il tempo dirà dove porta Kabul.
maggio 1988