1988 marzo 01 L’Italia che vince
1988 marzo 01 – L’Italia che vince
Le due medaglie d’oro conquistate da Tomba nello slalom gigante e nello speciale, l’argento del
bellunese De Zolt nella 50 km di fondo, i due bronzi conquistati nel biathlon da Passier e dalla pattuglia
alto atesina conferiscono alle Olimpiadi d’Inverno dello sport italiano una alta definizione di positività.
Portare un «cittadino» come Tomba ai vertici dello sci mondiale significa poter contare su una base di
sicura affidabilità, ed è forse questo il risultato migliore.
Lo hanno battezzato Bomba, Rambo, Hulk. «Il più forte» dice di se stesso. Alberto Tomba è Bologna,
la sua città, espansivo, gaudente, l’anti-quaresima d’Italia.
Lo sci ci aveva a volte piegati alla retorica dei silenzi, la natura, la neve, gli uomini di poche parole,
quel fruscio così distante dall’asfalto: con Tomba tornano il turbo, i 21 anni, i botti di champagne, una
voglia di vivere poco montanara nello stile; gli piacciono Tina Turner e la California, «Repubblica»
gli ha dedicato un servizio «sesso e sci». Quel telaio di muscoli se l’è fatto senza immalinconirsi del
tutto dentro le provette di un qualche allevamento di superman in batteria.
Maurilio De Zolt ha già il nome di battesimo sdrucciolo, di torrente, poco superlativo. Lo chiamano «il
grillo del Cadore», pelle, ossa, muscoli ascetici, che Tomba gli deve sembrare un bronzo di Riace. E’
l’atleta di paese, di bosco, che a 37 anni vive lo sport con la saggezza degli antichi scettici greci: «se
non ce la faccio, amen».
Ma ce l’ha fatta anche lui, e alle Olimpiadi dei cowboys ha preso un tondino d’argento che vale oro.
Quando, per allontanare la fatica, gli hanno consigliato il non plus ultra dei raggi infrarossi, le ha
chiamate «monate» e si è fidato solo del suo prosciutto di camoscio e di un bicchiere di rosso.
Quanto sono diversi Tomba e De Zolt, il Rambo dello slalom e il grillo del fondo, però sono uguali
come due palle di neve fresca nel rappresentare l’Italia che sa vincere, il Paese che l’ «Economist»
raffigura come una torre di Pisa senza precisare se stia per raddrizzare o per inclinarsi ancora di più,
e che usa la metafora dello sport per rassicurare la politica. Quando, dovendo riformare supergiù
tutto, non ci sentiamo più certi di nulla, spunta sempre un Paolo Rossi, un Tomba o un De Zolt a
dichiararci competitivi e insospettatamente pronti a cavarcela ovunque, persino nell’Europa senza
frontiere del 1992.
In fondo, per una on, Cicciolina che si fa buttar fuori da Bruxelles, c’è sempre un De Benedetti che il
Belgio se lo compera in slalom.
marzo 1988