1988 marzo 25 Quello che ci aspetta
1988 marzo 25 – Quello che ci aspetta
«Italia un’economia in azione», era il titolo di un supplemento della «Washington Post», dedicato l’altro
ieri al nostro Paese. E non erano ancora noti i dati dell’Istat sull’incremento record della nostra
produzione industriale registrato in gennaio: un 7,3% che ha fatto riparlare di boom e che riguarda sia
l’esportazione che la domanda interna. Le statistiche dicono inoltre che l’inflazione è ferma.
Il sistema ha vitalità da vendere; sfruttando anche l’andamento del dollaro e delle materie prima, sa
reagire bene quasi che la crisi della politica finisse con il deregolare l’economia, favorendo la sua
crescita spontanea. Non è la prima volta che, anche platealmente, si verifica tale apparente
dissociazione, ma nessuno che abbia un minimo di responsabilità ne può trarre buoni auspici. Neppure
«un’economia in azione » può durare oltre la congiuntura senza essere stimolata da un governo in grado
di scegliere e decidere.
La combinata produzione/inflazione dimostra semmai che, nel formare il governo, il momento
favorevole non va sprecato. La crisi politica non rivela un’Italia allo sfascio; sta a testimoniare, mai con
tanta evidenza, la mancanza di risposte a un Paese che – storicamente frammentato – più di altri pone
domande.
Riferendosi alle norme fiscali, il ministro delle Finanze Gava ha ripetutamente usato, con un pizzico di
teatralità napoletana, il termine «disboscare» che rende benissimo l’idea di quanto debba semplificarsi
la pubblica amministrazione. In termini di efficienza e anche di moralità: occorre mettere ordine nei
meccanismi degli appalti di opere pubbliche, va ripetendo in questi giorni La Malfa.
Non è retorica fuga in avanti l’appuntamento con l’Europa al 100% integrata che ci attende tutti fra
quattro anni. Sarà anzi una svolta della Storia, alla quale l’Italia arriverà puntuale soltanto a una
condizione: uno Stato più moderno e una società dei servizi all’altezza dell’economia.
Così come sta, nel degrado di intere aree, il Mezzogiorno finirebbe con il risultare sempre più
centrifugo rispetto allo sviluppo europeo. Senza un qualche regolamentazione degli scioperi in Italia,
l’intero sistema dei trasporti comunitari sarebbe esposto a un insopportabile effetto alone.
Da qualunque angolo la si consideri, la caduta delle ultime barriere farà esplodere in Europa non
soltanto la concorrenza delle imprese, ma anche la competizione dei servizi. A cominciare dalla scuola,
con il via libera alle qualifiche professionali e ai titoli di studi dei vari Paesi: qui si confronterà alla
radice, sul futuro dei giovani, la qualità dei vari sistemi di formazione. Lo stesso impatto riguarderà la
giustizia, la sanità, l’ambiente, l’energia, l’assistenza, un sistema bancario sempre più globalizzato.
È addirittura impensabile che si possa dominare questa rivoluzione senza riformare fin d’ora la politica
e le regole della sua gestione. Per quanto si arrangino egregiamente, nemmeno gli italiani ce la faranno
in ordine sparso, come oggi.
marzo 1988