1989 giugno 19 Il nuovo e il vecchio
1989 giugno 19 – Il nuovo e il vecchio
Su una sola cosa erano fino alle 22 di ieri sera tutti d’accordo: che le elezioni avevano un fortissimo
sapore politico, tanto da oscurarne il significato europeo. Sarebbe un gioco da bari sostenere stamattina
che il voto conta poco o nulla nei rapporti interni.
È vero, un’astensione del 2,6% rispetto a cinque anni fa va considerata. Ma non possiamo lavorarci
sopra più di tanto. Una partecipazione dell’81,5% rappresenta pur sempre il record d’Europa; senza
contare che, se nel sud e nelle isole si registrano ampie zone di disimpegno, al nord il richiamo delle
urne resta altissimo. Basti pensare al Nordest, con il suo 88,6%: un primato nell’impegno civile.
Allora, se il voto era politicizzato e se l’astensione non va enfatizzata oltre misure, le conclusioni del 18
giugno sono tutt’altro che confuse. Chi si attendeva o auspicava una ristrutturazione dei rapporti di
forza tra i due grandi partiti della sinistra italiana, deve constatare che ha vinto Occhetto non Craxi.
Numeri alla mano, hanno vinto entrambi; ma Occhetto ha politicamente vinto di più. Il 1984 risulta
troppo lontano; ha più senso l’apparente arbitrio di fare riferimento alle elezioni politiche del 1987. In
preda fino all’altro ieri a momenti di autentico panico, il Pci non si è fatto ridimensionare; ha tenuto
oltre le più rosee previsioni dei suoi stessi dirigenti. Altro che sorpasso imminente o quasi: la forbice
tra Pci e Psi non si è ristretta; l’erosione non ha funzionato; i comunisti mantengono i socialisti a debita
distanza.
È curioso. Quando la rissa tra Craxi e De Mita toccò il massimo, gli elettori premiarono nel 1987 i due
partiti antagonisti, cioè proprio la Dc e il Psi. Questa volta, nel duro match combattuto tra Craxi e
Occhetto, il voto conforta la sinistra. Sembra quasi che, nella opaca e vischiosa scena politica, la gente
preferisca almeno la contrapposizione netta, il faccia a faccia senza tanti complimenti.
Occhetto è riuscito a fermare l’emorragia del Pci con una abilissima accelerazione del «nuovo corso».
Ha detto cose importanti e impegnative, come l’uscita dall’internazionale comunista, come il ripudio di
tutti i regimi comunisti, come la scelta definitiva della democrazia, del pluralismo, del mercato, del
riformismo.
Ma la tenuta del Pci ribadisce anche una forte area di insoddisfazione, di «rancore» direbbe De Rita,
nei confronti di una gestione del potere che non sa ancora accompagnare la crescita economica. E che,
di fronte alla sfida della mafia, ai disservizi, all’iniquità fiscale, alla crisi della giustizia e della scuola,
alla perdita progressiva di senso etico nella politica, si attarda in grottesche crisi di governo invece di
incidere nella realtà dei problemi.
Un avvertimento questo che riguarda soprattutto la Dc, costretta al suo minimo storico, nonostante non
abbia perduto un solo voto a vantaggio del «polo laico». Qui è dimostrato che scorciatoie non esistono;
che non paga mai imparentare tradizione liberale e movimentismo radicale, Ugo La Malfa e Pannella.
«Perderemo solo per averci pensato!», ci confidò un mese fa Giovanni Spadolini.
Craxi non ha ridimensionato né Occhetto né Cariglia. Il balzo dei Verdi irrobustisce l’opposizione
mentre i partiti di maggioranza tirano nel complesso un impacciato bilancio. Di politico le Europee
hanno chiarito che mai come oggi è urgente una grande riforma della politica: usare il nuovo per
cambiare il vecchio.
giugno 1989