1989 novembre 12 L’ultimo muretto
1989 novembre 12 – L’ultimo muretto
«Il giorno più bello per l’Europa» ha titolato ieri l’Unità, organo del partito comunista italiano. Titolo
azzeccato, molto vero, ma quest’Europa in festa non è quella comunista e dei comunisti. Anzi, ne
rappresenta la negazione. È il giorno più bello dell’Europa liberale, cristiana, socialdemocratica e
socialista. Quella di Adenauer, Schuman, De Gasperi. È l’Europa che ha creduto nella democrazia,
nella libertà, nel mercato, nel dialogo quando l’altra Europa era Stalin, il gulag, i carri armati a
Budapest, l’Impero, il gelo a Praga, il Muro, l’opaco satrapismo dei tanti Breznev dell’Est e la doppiezza
dei partiti comunisti a Ovest. Quest’Europa è riuscita a camminare faticosamente insieme, lasciando
all’altra Europa quasi mezzo secolo di tempo per dichiarare il fallimento del comunismo, il ricorso a
valori di democrazia liberale, la scoperta della «casa comune» europea. Nessuno meglio del saggista
francese Jean Francois Revel ha messo in luce come la democrazia di tipo occidentale sia una creatura
politica recente, ancora limitata nel tempo e nello spazio, fragile e sottoposta al rischio d’estinzione di
fronte all’aggressività del totalitarismo. Forse Revel aveva trascurato nella sua realistica analisi un solo
aspetto: nel mondo della Comunicazione, l’economia di scambio e la libertà penetrano come virus
anche negli organismi più chiusi. Di libertà ci si ammala. come sta dimostrando la febbre dell’Est. Ha
scritto l’Unità nell’articolo di fondo di ieri: «Ora significa davvero fare i conti non più soltanto con un
modello politico che è franato ma con un’epoca che si sta aprendo, che non può essere segnata da uno
spirito di rivincita, ma invece da ciò che si riuscirà a costruire insieme». Se così stanno le cose, e non si
può che sottoscrivere, che cosa aspettano i post-comunisti italiani a tirare con razionalità tutte le
conclusioni? Qui non si tratta di «rivincite»: la Storia fa le sue tabule rase senza chiedere il permesso ad
alcuno e del resto, già nel… 1950, intellettuali comunisti come Silone, Gide, Wright, Koestler,
abiurarono confessando che «il Dio» del comunismo era «fallito». E poi, rivincite su che? La libertà
lavora per convertire non per mortificare i convertiti. Il punto è un altro. Per «costruire insieme», anche
il Pci dovrà ridefinirsi da cima a fondo. Non ha senso ripudiare qua e là in ordine sparso; ammettere
«errori» grandi e piccoli; aggiustare l’identità dei padri di partito; miscelare un cocktail radicale, verde,
socialista, socialdemocratico, progressista e movimentista per riempire la voragine apertasi sotto il
tempio del comunismo, sia come ideologia che come Stato. Nonostante i quasi obbligati passi in avanti
degli ultimi anni, al Pci serve qualcosa di più costitutivo, un nuovo atto di nascita. L’equivalente di ciò
che, dal 13 al 15 novembre del 1959 a Bad Godesberg, accadde alla socialdemocrazia tedesca quando
abbandonò solennemente il marxismo influenzando tutto il corso della vera sinistra europea.
Sbarazzarsi della falce e martello d’importazione bolscevica; archiviare il termine «comunista»;
ratificare con un congresso straordinario la straordinarietà del cambio di campo rispetto alla tradizione,
agli occasionali «strappi» e al trasformismo permanente non è una scelta retorica, un gesto notarile,
un’autentificazione del già esistente. Significa al contrario mettersi al 100 % in gioco, senza
l’inconfessabile quanto forte timore di perdere lo zoccolo duro della base; significa non imbrogliare,
come nella miglior prassi leninista, sulla parola «socialismo»; significa inventare per la prima volta
nell’Italia del dopoguerra un’opposizione di tipo occidentale. Né consociativa (con tutti i palesi
vantaggi dell’opposizione e tutti i contrabbandati vantaggi del sottopotere) né alternativa al sistema
(sempre perfettibile ma definitivo): un’opposizione pronta all’alternanza di governo; necessaria come il
pane alla crescita della democrazia; definitivamente liberata dalle ultime radici di un passato non più
presentabile. Buttiamo giù anche quest’ultimo muretto.
12 novembre 1989