1989 ottobre 1 Servire Venezia, non servirsene
1989 ottobre 1 – Servire Venezia, non servirsene
Per chi soffrisse di una qualche amnesia, sarà bene ricordare che Venezia è in pericolo. Pericolo fisico
di sopravvivenza: un aut aut che fa da preambolo a tutte le priorità; che riposa oggi sulla clemenza delle
maree; che distingue Venezia da qualsiasi altra crisi urbana. Proprio per questo la regola una Legge
Speciale che ne ha fatto una questione, oltre che veneziana e veneta, italiana. Mercoledì prossimo si
riunisce a Venezia il Comitato Interministeriale per Venezia, comunemente detto «Comitatone», e c’è
soltanto un modo di far diventare realisticamente storica la data del 4 ottobre: trasformare la
presentazione del primo vero Progetto globale per la salvaguardia di Venezia in un momento di
massima mobilitazione di tutte le Istituzioni. Per lavorare insieme, alla svelta, in un’impresa a lungo
meditata e non più differibile. Sì, tra pochi mesi ci saranno le elezioni, con Venezia in prima linea nel
travaglio che sta scuotendo tutti i partiti nel loro degradato rapporto con i cittadini. Sì, penano tuttora
quanti temono lo strapotere del Consorzio d’imprese Venezia Nuova, forse sottovalutano il fatto che il
Consorzio è concessionario dello Stato e che a tale concedente deve riferirsi. Sì, come in tutte le opere
che non hanno precedenti, anche le più scrupolose scelte tecniche non possono essere mai prese a cuor
leggero. Ma con tutta la prudenza possibile, Venezia non può più aspettare: richiede, esige, ordina che
gli studi, le paure, il dibattito politico, il senso dello Stato e delle Città, la tecnologia trovino il punto di
sintesi per partire. Si sa quanto fragile sia di per sé una laguna: rischia sempre l’interramento (dai
fiumi) o riassorbimento (dal mare). Il progetto del Consorzio guidato da Luigi Zanda, manager
quarantaseienne di origine sarda oramai saldamente radicato a Venezia, punta sulle barriere mobili per
contenere o, meglio, regolare le micidiali maree; ma di almeno un’opera «fissa» non si può fare a
meno: un grande sforzo comune che faccia piazza pulita delle gelosie, delle frustrazioni, del localismo,
delle meschine lottizzazioni di interessi economici e politici. Sarebbe un delitto speculare sulla salvezza
di Venezia per rastrellare qualche voto in più; sarebbe una bassezza – proprio mentre la manovra
economica del governo impone nuovi sacrifici a tutti gli italiani – legare anche una sola lira delle
migliaia di miliardi di denaro pubblico, destinato da qui al Duemila a Venezia, alla pratica dell’appalto
di favore. Per restituire una Venezia sicura ai suoi abitanti e al mondo, serve il meglio delle aziende,
dei progettisti e del controllo istituzionale. Lo ha sempre sostenuto il professor Giampietro Puppi,
presidente dell’avanzatissima Tecnomare: la laguna è «soltanto un problema di gestione», così come
sempre è stato per un habitat praticamente inventato e regolato dall’uomo, cioè dalla Serenissima.
Questa gestione di garanzia, fortissimamente coordinata se non addirittura unitaria, non può separare
nemmeno di un giorno o di un millimetro il disinquinamento dalla salvaguardia. Possono, debbono,
marciare insieme: non si venga poi a concludere che, poiché il disinquinamento batte la fiacca, anche la
salvaguardia dovrà allungare i tempi sperando che la Provvidenza, non la previdenza, risparmi nel
frattempo Venezia. Il disinquinamento riguarderà 100 comuni del Veneto, che può diventare un grande,
immenso campus di sperimentazione per la nuova agricoltura d’Europa, dove si impiegheranno
tecniche e materiali nuovi nel nome di una produzione compatibile con l’ambiente. Partendo subito, nel
giro di sei anni si può ricondurre la laguna all’auto-depurazione, quasi un miracolo, prima di affrontare
in altri sei anni il massimo del disinquinamento possibile. È impensabile che la Regione Veneto non si
coordini al Consorzio Venezia Nuova per utilizzare al meglio il meglio delle progettazioni e degli
indirizzi. Nel nome di Venezia c’è gloria per tutti, purché la si serva senza servirsene.
1 ottobre 1989