1989 settembre 24 Una speranziella
1989 settembre 24 – Una speranziella…
Basta leggere le nostre cronache. All’ospedale civile di Venezia, il reparto di urologia dimora da 28
anni in un capannone. Qui, parlare di spazio e di garanzia d’igiene rappresenta una presa per i fondelli.
Sempre a Venezia, è stato costruito con nove miliardi un buon reparto di degenza da duecento posti-
letto, ma la non omologazione del relativo depuratore rischia di lasciarlo vuoto per alcuni anni, in preda
al disuso e a ladri d’ogni tipo. Anche l’ammodernamento tecnologico, che nella sanità vuol dire
spessissimo una questione di vita o di morte, a volte si realizza in condizioni tutt’altro che agevoli: per
dotarsi di una nuova apparecchiatura l’ospedale Umberto I di Mestre resterà per tre mesi senza la Tac,
l’oramai essenziale Tomografia assiale computerizzata. Medici e pazienti saranno chiamati a dure
emergenze.
Guardiamo alla gestione, attraverso il campione dell’Usl 21 di Padova. Ispettori ministeriali prima,
magistrati poi, hanno individuato appalti sospetti, incongruenze di bilancio per miliardi, voci di spesa a
volte persino divertenti, come una dotazione di penne biro buona per un esercito di amanuensi. Ma il
vero scandalo non sta nell’Usl 21 o in altra; è il sistema che produce quasi automaticamente le
degenerazioni. L’Usl di Padova è la prima del Veneto, assistendo quasi un decimo dell’intera
popolazione della Regione. Ha un «fatturato» di 530 miliardi e circa 6500 dipendenti: nel Veneto,
soltanto il gruppo Marzotto o la Montedison (o il comune di Venezia o l’Usl di Verona) possono
confrontarsi con tale livello di occupati. Insomma, le Usl sono aziende vere e proprie, di grandi
proporzioni, con la differenza di avere al vertice il primo che passa nei dintorni di un partito. Può essere
un sensale o un professore, un tirapiedi o una brava persona, ma il sistema che lo partorisce non ha
nulla a che vedere con centri tanto nevralgici per la società, la spesa pubblica e le buste-paga o i
versamenti dei cittadini. Nemmeno la persona meglio intenzionata ce la fa a dirigere come si deve
un’azienda di 6500 dipendenti quando non è il suo mestiere. La regola è l’inefficienza: l’efficienza è
l’eccezione. Anche nelle pieghe del sistema più degradato si annida infatti la persona giusta,
competente. Difronte a realtà sempre più complesse, i dilettanti diventano una sciagura nazionale.
Soprattutto in un Paese di improvvisatori, dove rappresenta ancora una minoranza chi studia con umiltà
da amministratore (politico) di denaro (pubblico). Magari diventasse costume laico lo scrupolo del
vescovo di Bolzano il quale, appena preso possesso della diocesi, frequentò in Germania un corso di
scienza delle Finanze perché voleva «sapere cosa firmava»! L’organizzazione ospedaliera paga una
burocratizzazione contro la quale tuonerebbe lo stesso… Gorbaciov. Così i medici, a cominciare dai
primari, sono obbligati il più delle volte all’accattonaggio, all’elemosina, alla trattativa privata con
l’apparato di gestione per strapparsi da un reparto all’altro i finanziamenti, le apparecchiature, i favori.
Un enorme patrimonio di lavoro squisitamente medico si disperde così nei piccoli meandri provinciali
dove le buone relazioni con il sottopotere contano almeno quanto la bravura professionale. Ritornando
da un viaggio di studio negli Usa, l’allora ministro della Sanità, Degan, concluse che bisognava
cambiare radicalmente. Un altro ministro, Donat Cattin, ribadirà cose turche nel proporre la riforma
della riforma. Ma oggi, per «la prima volta dalla Costituzione della Repubblica» (come ha ricordato
Luigi Bazzoli sul Corriere) c’è un medico a dirigere la Sanità. Medico e docente di biochimica
all’Università di Napoli, Francesco De Lorenzo ha fatto anni di ricerca all’estero ed è anche stato il
primo ministro dell’ambiente d’Italia. È un tipo che le cose le pensa e le dice; in un suo buon libro
scrisse un anno fa che, dopo i dinosauri, «l’uomo rischia seriamente di essere la prima specie del
pianeta Terra a determinare la propria estinzione in massa attraverso intollerabili modificazioni
dell’ambiente». È anche liberale, cioè di un partito del 2%, che per esiguità numerica oltre che per
cultura, ha zero sotto zero da guadagnare dalla lottizzazione, Usl comprese. Sembra la persona giusta al
posto giusto anche perché gli piacciono da morire i carabinieri e li usa come si deve. Per tutte queste
ragioni, personali e politiche, De Lorenzo contribuisce non poco alla credibilità del Governo, già atteso
al varco della manovra economica, della lotta alla criminalità da droga, della difesa dell’Adriatico,
della riforma della giustizia, dell’adattamento dei trasporti al sistema Europa. Il nuovo ministro della
Sanità ha già annunciato che per il 1990 intende intervenire sui posti-letto in esubero, sugli ospedali
inutili, sulla tecnologia, sugli investimenti per gli anziani, e soprattutto sulla gestione. Non per
privatizzare ma per trattare le Usl da aziende come sono affidandone la «direzione generale» a
professionisti che pongano fine alla invadenza dei partiti, la quale fa comodo soltanto ai mediocri del
sistema sanitario non certo alla maggioranza di chi ci sa fare e vi si dedica con passione. Alla
ristrutturazione della sanità oramai non ci credeva più nessuno, quando è arrivato il napoletano
Francesco De Lorenzo a ridare una botta di speranziella. Ma attenzione: pudore istituzionale consiglia
che questa sia l’ultima volta che un ministro della Sanità annuncia. Gli italiani aspettano mesi per una
visita, ma non possono attendere altri anni per un’illusione.
24 settembre 1989