1990 giugno 8 L’uso e il sogno
1990 giugno 08 – L’uso e il sogno
La sonda Voyager I ci ha fotografati da una distanza di sei miliardi di chilometri, ai margini del sistema
solare. Vista dallo spazio profondo, la sconfinato sfondo nero: «È incredibile – ha commentato un
grande astronomo americano – che solo su questo frammento di immagine ci sia la vita».
È anche incredibile che, da oggi e per un mese, su questo sperduto puntino blu dell’universo accada
qualcosa che provocherà 20/25 miliardi di contatti televisivi e un imprecisabile consumo di parole. Il
puntino si fa verde come un prato in omaggio al calcio e alla civiltà della comunicazione: il Mondiale
1990 trasforma l’Italia nel laboratorio del solo «Internazionalismo» scampato al crollo delle ideologie;
quello dell’immagine, dello spettacolo, del tempo libero che miscela scambi, turismo, sport. Un
prodotto da diecimila miliardi.
Prima del fischio d’inizio, l’Italia non ha fatto una bella figura: abbiamo speso il doppio del previsto
lasciando molte cose a metà: abbiamo consolidato l’impressione di un Paese che si salva sempre in
corner e che i suoi risultati migliori li ottiene alla rinfusa. Il Mondiale doveva essere la fatidica
«occasione» per modernizzare un po’ di cose che con il pallone non c’entrano nulla: l’«occasione» è
andata mezza sprecata perché quanto a progetti non ci batte nessuno ma quanto a gestione siamo
perennemente in ritardo.
E del resto il calcio, così popolare, non può che essere metafora di una società, indizio di virtù e vizi,
luogo dove lo sport di massa interferisce con le emozioni e gli interessi. Il segreto del gioco sta in
fondo tutto qua, nella sua illimitata possibilità d’uso e di sogno.
Da oggi e per un mese, questo puntino blu su sfondo nero giocherà una interminabile partita anche con
i suoi miti e le sue illusioni planetarie. Chi ha mai indovinato l’ultima orbita di un pallone?
giugno 1990