1990 novembre 27 L’esodo e la fuga
1990 novembre 27 – L’ esodo e la fuga
Aveva scritto domenica scorsa, su queste stesse colonne, Mario Rapisardi: «Non c’è mai certezza, non
c’è mai speditezza, manca la volontà di accelerare i tempi per salvare il salvabile di questa città
morente. Il fatto è che non si è ancora radicata una coscienza generale del problema Venezia». Ha
raccontato ieri Leopoldo Pietragnoli: «L’incubo del ‘66 si è riaffacciato, improvviso, su Venezia» per
l’arrivo di una grande perturbazione in una giornata di normale marea. E concludeva: «Un nuovo
cambiamento del vento da scirocco a libeccio nella tarda serata fa sperare che la marea, pur sempre
molto sostenuta, non raggiunga livelli eccezionali». Dopo aver provocato la prima ondata a metri 1 e 16
centimetri, lo scirocco ha provvidenzialmente ceduto al libeccio risparmiando la città. L’incubo della
notte ha lasciato il posto al sospiro di sollievo nelle prime luci dell’alba. Manca un mese al 1991; un
quarto di secolo è trascorso senza che Venezia abbia fatto un solo vero passo avanti nella salvaguardia
fisica. E con «fisica» s’intende proprio il dato materiale, il corpo stesso di Venezia, il suo esistere o no.
Si spera nel libeccio; la città resta in balia del caso, del barometro, della congiuntura tra maree e venti.
L’opera dell’uomo non ha ancora dato risposta a nuovi epocali pericoli. Nel ripetere a voce alta cose
evidenti a tutti, si rischia persino di passare per dei beccamorti, menagrami e piagnoni. La stasi di
Venezia riesce a inglobare in sé persino la denuncia: sembra quasi che la crisi e la coscienza d’essa
consolidino un unico rito negativo. Ognuno recita il suo ruolo; pronuncia le sue battute, senza scalfire
minimamente la realtà. Qui anche le paure diventano teatro. A settembre la popolazione è scesa a
78.351 abitanti. Nove mesi di bizantinismi hanno bloccato il progetto di salvaguardia, senza che
nessuno si renda conto che nove mesi di paralisi tecnica significano in realtà un’interruzione operativa
di almeno due anni. Tra fondi promessi e non messi a disposizione, tra comitatoni di volta in volta
«storici» e storiche lentezze burocratiche, anche i motivi di ragionevole ottimismo finiscono frustrati. E
questi motivi ci sarebbero. Ad esempio, i giovani che riscoprono la Venezia del sapere, come segnala
l’aumento del 20 % di studenti nella sola facoltà di architettura. Dalla Marittima, al Porto, all’Arsenale,
il Centro Città d’Acqua ribadisce che esiste uno straordinario spazio di riuso equilibrato, forse
l’impresa urbana più rilevante degli ultimi duecento anni. Lo stesso scontro per l’Expo 2000 ha offerto
un formidabile magazzino di conoscenza e di idee. È da incoscienti calpestare le possibilità e rallegrarci
soltanto per gli scampati pericoli. Anche quel metro e 16 di domenica ci aiuta a capire che l’esodo dei
veneziani è l’amara risposta alla fuga dalle responsabilità.
27 novembre 1990