1991 aprile 6 Come uno spot
Testata: GAZZETTINO
Edizione: PG
Pagina: 1
Data: 06/04/1991
Autore: Giorgio Lago
Tipo:
Argomento: CURDI – POPOLAZIONE DEL KURDISTAN, KURDISTAN, IRAQ
Persone:
Didascalia:
Descrizione:
Titolo: COME UNO SPOT
di Giorgio Lago
Teniamoli ben saldi in prima pagina, questi curdi, perché fra qualche giorno si perderanno nella notte
dei tempi come tanti altri massacri, esodi, torture, patimenti di massa. Passiamo di choc in choc,
logorando la tenuta delle sensazioni; una solidarietà drogata che via via evapora prima nella
rassegnazione, quindi nella smemoratezza, poi nella rimozione. Viviamo una condizione umana che
esorbita dalla nostra ragione. Poiché globale, la comunicazione ci familiarizza quotidianamente con il
mondo, ma ci abbandona ad ogni istante sotto il suo peso. La folla delle immagini genera impotenza
più che pathos. Soprattutto solitudine. Anche l’ordine delle Nazioni Unite genera mostri; il diritto
internazionale resta figlio dei rapporti di forza, cammina per convenzioni non per giustizia. A volte,
appare come una legge della giungla con la marca bollata degli Stati. Se uno Stato (l’Iraq) invade il
territorio di un altro (il Kuwait), la guerra è legittima, giusta, riparatrice. Se lo stesso Stato (l’Iraq)
massacra una sua minoranza (i curdi) fino a spingerla ad abbandonare la propria terra, la comunità
internazionale proclama che si tratta di una questione interna a quello Stato. Se Saddam Hussein attacca
la minoranza sciita con un aereo, la forza multinazionale glielo abbatte catalogandolo quale minaccia
alle sue truppe; se Saddam impiega gli elicotteri per sterminare i curdi, lo lasciano fare giudicando
l’operazione strategicamente irrilevante. Tre anni fa il presidente francese tentò di enunciare un nuovo
principio nei rapporti internazionali: «Nessuno Stato affermò Mitterrand è proprietario delle sofferenze
che provoca o cui offre riparo.» L’odissea dei curdi dimostra la congenita doppiezza nei rapporti tra gli
Stati: nel giro di un mese, nella stessa area, con le stesse forze in campo, si esercita il diritto alla guerra
di liberazione ma si nega il diritto a essere soccorsi. Per il primo si possono ammazzare centomila
persone in nome di Dio; sul secondo cala il silenzio della diplomazia, delle risoluzioni, delle armi. Non
è un giudizio politico che noi qui vogliamo dare; soltanto la fotografia di un dramma che scombussola
le coscienze e lascia smarriti, senza risposta. Viviamo flagelli biblici con imperturbabilità postmoderna;
così i pacifisti di ieri possono essere gli interventisti di oggi, e viceversa. La frustrazione confonde e
inquina, ci rende patetici. Nel Golfo, una guerra incompiuta, una pace incompiuta, la sofferenza
compiuta e «senza ritorno». Forse non è vero che sta nascendo nel mondo un ordine nuovo; forse si sta
soltanto pervertendo un ordine vecchissimo. Con la differenza che tutto accade sotto i nostri occhi, a
casa, dentro i pollici di un elettrodomestico a colori, tra uno spot per la pappa dei gatti e un invito alle
cure termali che recita: «pensiamo a noi stessi senza tante illusioni». Anche i curdi possono attendere.
aprile 1991