1991 ottobre 19 Venezia in pericolo… ma ci crediamo ancora?
Amore e tecnologia
Testata: GAZZETTINO
Edizione: PG
Pagina: 10
Data: 19/10/1991
Autore: Giorgio Lago
Tipo: PAGINE SPECIALI, DATI STATISTICI, INTERVISTE
Argomento: VENEZIA ALTA MAREA, VENEZIA SALVAGUARDIA, VENEZIA LAGUNA
Persone: ZANDA LUIGI
Didascalia:
Descrizione:
Titolo: VENEZIA È IN PERICOLO… MA CI CREDIAMO ANCORA?
di Giorgio Lago
Il 27 settembre scorso a Venezia il presidente del gruppo OCSE per la gestione delle risorse ambientali,
Ronny Ferm, concluse la conferenza stampa affermando che «l’evoluzione del Progetto Venezia sarà
osservata dall’OCSE fino al suo completamento». Venezia resta più che mai una questione
internazionale: la sua capacità anche simbolica di rappresentare i rischi e le potenzialità del nostro
tempo si conserva immutata. Anzi, aumenta geometricamente assieme alle nuove sensibilità della
cultura. Sembra un rilievo stucchevole, eppure giova ripeterlo perfino ai veneti: l’idea di Venezia
supera la stessa città, la provincia, la regione, il nordest, l’Italia. Se per ipotesi ci arrendessimo
all’inerzia, alle cose che non camminano, alla burocrazia, ai faticosi finanziamenti e a tanta
sottovalutazione o incoscienza, dovremmo veramente guardarci allo specchio per chiederci se il nostro
grado di civiltà stia attraversando oggi un momento di crescita o di regressione. Più incombente che
mai, c’è il pericolo che una Venezia insicura perda la sua popolazione, il suo ruolo, il suo ambiente. Ma
il pericolo maggiore consiste nell’indifferenza e nell’abitudine al degrado e alla paura. Per vincerle,
sono necessari amore e tecnologia.
******* PEZZO ASSOCIATO AL PRECEDENTE *******
Dottor Zanda, il Consorzio Venezia Nuova ha in concessione dallo Stato la salvaguardia di Venezia e
della sua laguna, in base a una legge del novembre 1984. Dopo sei anni, qual è a suo parere il grado di
mobilitazione attorno alla colossale impresa? Registro una qualche caduta di tensione sui problemi, che
tuttavia non è soltanto un fenomeno veneziano. Ma mi sembra che sia aumentata la consapevolezza
della complessità del problema. Chi si occupa di Venezia oggi ha una maggiore coscienza che il
problema riguarda la laguna e la città nel loro complesso. Quindi, riguarda la difesa dalle acque, il
problema dei litorali, riguarda la qualità delle acque e dunque riguarda l’inquinamento di un enorme
bacino veneto, lo sviluppo economico e sociale della città, il problema demografico. Direi che adesso
serva uno sforzo culturale, per capire il legame che tiene uniti tra loro tutti questi problemi». Un passo
avanti dal punto di vista «tecnico» e uno indietro in senso culturalepolitico? «C’è un elemento
psicologico molto forte: parlare troppo di qualcosa e vedere pochi risultati concreti determina un
sentimento di sfiducia, di distacco. Il Consorzio Venezia Nuova in questi primi anni ha dedicato
parecchio tempo, oltre che a realizzare alcuni lavori urgenti, a progetti, approfondimenti scientifici e
sperimentazioni che era indispensabile fare anche se i risultati si potranno vedere soltanto fra molti
anni. Questa mancanza di concretezza o di evidente immediatezza concorre certamente a far diminuire
la tensione.» Il Consorzio ha rapporti migliori con lo Stato, con la Regione Veneto o con il Comune di
Venezia? «I nostri rapporti istituzionali sono in modo diretto con lo Stato, perché noi dipendiamo dallo
Stato. Poi ovviamente, i nostri rapporti sono continui anche con la Regione e con il Comune; e direi che
sono molto buoni». Ma sono stati anche faticosi, e forse lo sono tuttora, almeno con la Regione. «Il
nostro problema è quello di realizzare il progetto che ci è stato affidato e di avere dei riferimenti con le
istituzioni. I nostri progetti sono stati ben valutati, sono stati apprezzati ed anzi quando ci sono state
fatte delle osservazioni, queste osservazioni sono servite a migliorare la qualità del nostro lavoro.
Quindi, per quel che riguarda le nostre responsabilità, i rapporti sono ottimi. Questa non è diplomazia e
neppure ipocrisia, è restare al tema». 55 mila ettari di territorio Il Consorzio lavorerebbe meglio, in
quanto concessionario dello Stato, se ci fosse finalmente un’unità di indirizzi, anche di pianificazione,
su questo benedetto territorio di 55 mila ettari? «Io sono un tecnico, quindi non voglio e non devo
esser trascinato a fare l’uomo politico. Non sono né consigliere comunale, né consigliere regionale. La
mia responsabilità mi deve consigliare in modo molto preciso di rimanere nell’ambito di quelli che
sono i miei doveri». Si spieghi meglio. «Primo: che il problema della salvaguardia di Venezia sia
unitario lo stabilisce la natura, lo stabiliscono le evidenti interconnessioni e la stessa legge. La legge per
Venezia – dell’84 – ha scelto la strada di un tavolo di indirizzo al quale partecipassero lo Stato e gli
Enti locali. Mi sembra che questa linea sia assolutamente coerente con gli obiettivi: unitarietà del
problema e unitarietà del punto di comando». Che cosa suggeriscono le esperienze di altri Paesi?
«Negli Stati Uniti, per esempio, la Baia di San Francisco è governata da una commissione nella quale
sono presenti il Governo federale e i Governi degli Stati a cui è interessata la Baia; sono presenti le
autorità locali e gli organi tecnici competenti. Insomma l’organo che dirige i lavori è collegiale perché
anche negli Usa, come in Italia, ci si rende conto che non si può trascurare nessuno dei soggetti
istituzionali competenti». Tra gli Usa e l’Italia, il coordinamento ha due velocità… E veloci non
siamo noi… «La discussione e il confronto tra le diverse esigenze del Comune, della Regione e dello
Stato, comportano rallentamenti. Ma questo direi che è una conseguenza naturale, al limite, anche
benefica. Dico “al limite” perché è un problema ovviamente di misura! Insomma, se oggi la velocità
degli interventi del Consorzio Venezia Nuova è molto rallentata, questo dipende dal fatto che i
finanziamenti sono finiti, interrotti dal 1988 e non da conflitti di competenze.» Il che significa… Che
gli interventi del Consorzio si stanno discostando in modo preoccupante dai programmi a causa
dell’arresto dei flussi finanziari senza contare la necessità di portare avanti l’intervento in modo
unitario. Noi dobbiamo sapere che quello che con brutta parola viene chiamato «carattere sistemico
dell’opera» è una conquista di questi anni di ricerca, una conquista che deriva da una maggiore
conoscenza del problema. Fare graduatorie tra le cose più importanti e le cose meno importanti, le cose
più urgenti e le cose meno urgenti è pericolosissimo». Quando c’era la Serenissima Durante la
Serenissima, la contestualità e l’unitarietà c’erano, eccome! È in tempi recenti che si è frazionato il
tutto, anche per servire interessi specifici. «La rottura dell’unitarietà è avvenuta in anni molto ben
identificabili, che sono quelli centrali di questo secolo. In questi anni sono stati fatti interventi che
hanno profondamente modificato la struttura della laguna e che determinano la gravità attuale di alcuni
fenomeni. L’acqua alta è fortemente aggravata dai famosi 23 centimetri che indicano il peggioramento
del rapporto fra mare e terra nella laguna di Venezia, causati dall’attività dell’uomo. Il profilo e la
stessa conformazione della laguna sono profondamente modificati dalla costruzione dei moli foranei
(ovviamente indispensabili, ma ciò non toglie il loro impatto). Se ora ritorniamo alla consapevolezza
dell’unitarietà, ci arriviamo da uomini moderni, attraverso un lavoro di ricerca scientifica molto
avanzato e importante. Diamo pur atto agli antichi veneziani che avevano raggiunto questo stesso
risultato con mezzi più modesti». Ma i finanziamenti? «Ho un certo disagio a parlarne, perché questo
è un periodo molto difficile per tutti dal punto di vista finanziario, e io credo che il Governo faccia bene
a chiedere al Paese di fare sacrifici». Recentemente, Lei ha sottolineato la lesina per Venezia e
contemporaneamente gli appalti per 500 miliardi in ballo a …Misterbianco, comune catanese in un
qualche debito di trasparenza. «Sono sorpreso dello squilibrio con i finanziamenti per Venezia.
Misterbianco lo cito come caso emblematico: si tratta di appalti che probabilmente, immagino,
importanti, necessari, ma io ne so ben poco». Sappiamo, sappiamo… «La gravità della situazione
veneziana deriva dal fatto che i finanziamenti sono fermi dal 1988. Se negli anni passati avessimo
ottenuto i finanziamenti stanziati dalle varie finanziarie, non ci troveremmo – né lo Stato né la Regione
né il Comune – nella situazione in cui ci troviamo. Il problema assume questa gravità perché c’è una
interruzione pluriennale dei finanziamenti. A questo punto sarebbe sufficiente che, accanto ai 100
miliardi della finanziaria 1992, sempre nel 1992 venisse consentita la spesa dei 400 miliardi che nella
stessa finanziaria sono stati attribuiti al ’93 ’94. Cioè che, senza andare a cercare altre risorse, venisse
concentrato nel ’92 tutto lo stanziamento che è stato diviso per tre anni. Sarebbe un modo per dare
continuità almeno alla salvaguardia fisica di Venezia. In definitiva, e con estrema chiarezza, noi non
potremo iniziare nessuno degli interventi più importanti se non saremo sicuri della cadenza dei
finanziamenti, anzi la qualità delle stesse opere che abbiamo eseguito in questi primi anni è fortemente
condizionata dal loro completamento. Senza sapere quanti anni durerà la realizzazione di ciascun
intervento, non possiamo prenderci la responsabilità di realizzarla e di realizzarlo bene». È forse
fallita la Legge Speciale? «Tutto è migliorabile, ma questa è una buona legge. Il problema, in questo
momento, non è la legge, ma il finanziamento». La salvaguardia slitta al 2030 Proprio il Consorzio, un
anno e mezzo fa, pubblicò un memorandum drammatico secondo il quale la salvaguardia di Venezia
sarebbe slittata dal 2000 al 2030! «Il memorandum di un anno e mezzo fa rimane purtroppo valido
oggi come allora. Anzi, devo aggiungere questo: che se i finanziamenti continueranno ad arrivare come
sono arrivati dall’88 ad oggi, le opere non si faranno mai. Però devo confessare che io sono una
persona tenace, e mi sembra che Venezia si stia dimostrando tenace in questo momento. Non possiamo
assolutamente rassegnarci che il problema venga eluso per mancanza di stanziamenti adeguati. È una
cosa che non possiamo fare per rispetto alla cultura ed alla storia di Venezia, oltre che per
considerazioni etiche». A che punto si trova la vostra pianificazione? «La nostra pianificazione
prevedeva che nel 1991 eseguissimo opere per 200 miliardi, ne faremo meno della metà. Nel 1992
avremmo dovuto fare 340 miliardi di opere, sappiamo che le previsioni della Finanziaria non ci
consentiranno che una parte molto esigua delle opere previste. Per il ’93 prevedevamo 530 miliardi, per
il ’94 altri 850, e così fino al Duemila. Questo ritmo avrebbe consentito di realizzare il programma. Il
problema della difesa dei litorali è ad esempio di urgenza drammatica perché è il punto più debole del
sistema. È un intervento per il quale abbiamo il progetto esecutivo e per cui siamo pronti ad iniziare
immediatamente i lavori: abbiamo bisogno solo di avere i fondi necessari.» Esiste una buona lobby
veneziana di sostegno? «Direi di no. La miglior lobby, anzi forse l’unica lobby buona che noi
dobbiamo augurarci per Venezia è quella della pubblica opinione». Dove sta la resistenza maggiore?
«Faccio un esempio tecnico perché di queste cose bisogna parlare in concreto. Le leggi finanziarie
dell’89, del ’90 e del ’91 hanno previsto un congruo finanziamento; il Parlamento non s’è dimenticato.
Però lo stanziamento avrebbe dovuto affrontare a differenza di quanto avveniva nel passato una
seconda lettura parlamentare, una seconda approvazione. I tempi dei lavori parlamentari hanno
impedito la duplice approvazione, per cui mentre il Parlamento approvava all’inizio dell’anno lo
stanziamento, poi non faceva in tempo a riapprovarlo la seconda volta per renderlo operativo! A questo
grave handicap è stato rimediato nella Finanziaria del 1992 che ha collocato i 100 miliardi per Venezia
tra i finanziamenti che diventano operativi con la sola approvazione della Legge finanziaria. Speriamo
che questa positiva innovazione non venga modificata in questi giorni.» Perché fare una Legge
Speciale, se poi tutto si blocca nei meccanismi ordinari? «C’è incoerenza nel sistema, gravissima e
grandissima. Ma è il meccanismo che noi dobbiamo modificare. In questo caso il meccanismo
finanziario». I petroli e la Malfa Crediamo tutti nella capacità di persuasione dei buoni argomenti ma
perché continuano a vincere gli argomenti non buoni? «Parliamoci chiaro su un problema importante,
di cui abbiamo la responsabilità, e chiediamoci: le acque alte eccezionali, quelle che noi chiamiamo
acque alte catastrofiche, sono un pericolo o non sono un pericolo? È un fenomeno che, essendo
accaduto nel 1966, siamo certi che non accadrà più, oppure possiamo prevedere quando accadrà?
Sappiamo che siamo tranquilli quest’anno, l’anno venturo, fra due anni? È o non è un problema della
città? È o non è un rischio di sopravvivenza della città, c’è o non c’è un problema di incolumità del
patrimonio monumentale di Venezia, della sua sopravvivenza fisica, degli abitanti delle isole, c’è o non
c’è questo problema? Rispondiamo a domande semplici». Per concludere che cosa? «Avevamo un
progetto, il «progettone», che era stato approvato da tutti, Stato, Comune eccetera – nell’82, mi sembra;
questo progetto prevedeva una mezzaluna davanti alla bocca di Lido, con delle opere fisse di cemento,
e uso di questo termine senza disprezzo, perché il cemento non è né buono, né cattivo, soltanto che va
messo dove serve. La nostra ricerca ci ha portato a concludere che si poteva fare qualcosa di meglio. Le
nostre configurazioni sono profondamente diverse e credo in senso positivo: non compaiono più dighe
fuori della laguna, non compaiono più strozzature fisse, è assicurato il ricambio idrico, è assicurata la
tutela ambientale. C’è qualcosa di meglio da fare? Si può risolvere il problema della difesa della città in
altro modo? Si può risolvere il problema delle acque alte eccezionali aprendo le valli di pesca? La
risposta è no. Noi stiamo studiando, stiamo facendo un progetto per l’apertura delle valli da pesca. Ma
non lo facciamo per risolvere il problema delle acque alte, perché le acque alte non si risolvono
aprendo le valli da pesca. Siamo andati in Danimarca, abbiamo fatto modelli unidimensionali,
bidimensionali, e oggi possiamo dire che l’unico modo per difendersi dalle acque alte consiste
nell’intervenire alle bocche di porto.» E ora avete presentato anche un progetto di sostituzione del
traffico petrolifero in laguna. Che penso ha, sullo sfondo ora tratteggiato, questo progetto? «Un grande
uomo politico del nostro passato, Ugo La Malfa, diceva che l’Italia è un Paese nel quale si crede di aver
risolto il problema quando in un comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri si
scrive che è stato approvato un disegno di legge. Questo diceva Ugo La Malfa, per dire che i problemi
si risolvono soltanto quando diventano operativi. Non dico che nessuno avesse mai suggerito, nei
decenni scorsi, di estromettere i petroli; dico che anche questa proposta diventa operativa solo quando
lo Stato finanzia un progetto, affida un incarico».