1992 aprile 27 – Che virate…
1992 aprile 27 – Che virate…
Un genio dello scetticismo, Leo Longanesi, diceva degli italiani: “Oramai soltanto le abitudini e un
certo orgoglio di virilità ci tengono in piedi”. Oggi ci dà una mano anche l’ipocrisia, che è tale e tanta
da rappresentare una forza.
Alcuni bambinoni veneti fingono invece di credere che la corruzione sia un fenomeno centralista.
“Roma ladrona” quando il mitico lombardo-Veneto è infestato di ladri quanto la Capitale. La
questione morale precede la stessa questione politica, nel senso che la cultura del denaro, del
rampantismo, della spartizione dello Stato, scardina ovunque le regole.
Altri Ponzio Pilato ritengono che la corruzione riguardi soltanto i politici, come se questi ultimi
fossero figli di nessuno, mantenuti sotto vuoto spinto, dediti al saccheggio senza alcuna connivenza.
Assolvendo così quel sottobosco di funzionari, di professionisti, di imprenditori che dell’appalto della
commessa, dell’area urbana, della licenza, dell’opera pubblica, del privilegio bancario hanno fatto e
fanno il complice palo, spartendo poi il bottino, senza mai domandarsi se non fosse il caso di
denunciare il ricatto e di interrompere la catena delle tangenti, cioè dello sperpero sempre pagato di
tasca propria dal cittadino attraverso opere infinite, costi aggiuntivi, moltiplicatori di spesa pubblica.
Quanto cinismo. Ma il caso-Cossiga ne segnala il record, di quelli che da soli identificano un Paese
o, meglio, danno la misura di quanto sia decrepito il modello culturale dominante.
Con la coerente eccezione del quotidiano comunista “Il Manifesto” che è stato ostile a Cossiga prima,
durante e dopo, evitando alla fine di prendere a pretesto la commozione del Presidente per una
deamicisiana virata di novanta gradi nei suoi confronti, il resto delle voci anti-Cossiga ha realizzato
ieri un capolavoro di macchiavellismo. Da far impallidire Macchiavelli. Vediamo come.
In due anni, Cossiga è stato accusato di tutto, anche cose dell’altro mondo. Matto, arteriosclerotico,
in preda a turbe e amanti, complottatore, golpista, stragista, piduista, inquinatore di prove, tutore di
segreti, attentatore della Costituzione, presidente abusivo. La Dc lo voleva cacciare dal Quirinale, il
Pds incriminare davanti al Parlamento, la grande maggioranza dei giornali far dimettere già da un
pezzo.
Tanta stampa gli negava il diritto, come Capo dello Stato, di sparare sul Palazzo; preferivano un
Presidente sordo, cieco e muto di fronte a un sistema tombale, incapace di una sola riforma, di una
sola scelta coraggiosa di governo. Una cinquantina di costituzionalisti, per lo più ligi alla dottrina di
partito, gli inflissero una lezione su ciò che poteva e non. Praticamente un “non” omertoso al sistema.
Cossiga rispondeva colpo su colpo, epiteto su epiteto, peccando a volte di eccesso di legittima difesa.
Quegli “eccessi” dei quali s i è scusato sabato sera in televisione, parlando direttamente al popolo,
non ai boiardi del potere.
A costoro, Cossiga ha dedicato 45 minuti durissimi, la sintesi delle esternazioni e delle picconate di
due anni. Basta controllare in archivio: poco leggendo e molto dicendo, Cossiga si è congedato in Tv
con una vera e propria antologia del suo riformismo; una summa, un compendio, l’estremo ragionato
capitolo di un lungo attacco agli apparati e alla partitocrazia. La consueta implacabile contestazione
delle oligarchie della sotterranea gestione tra Dc e opposizione di sinistra, dell’occupazione dello
Stato e delle società da parte dei partiti, della resistenza al cambiamento, della “sciocca
demonizzazione” del voto di protesta del 5 aprile.
Insomma, il Cossiga più utile al Paese e più fedele a sé stesso. Un democristiano “cresciuto nella Dc
più nutrita di cultura
laica e riformista” ha scritto Alberto Sensini
nell’attualissimo libro sulle riforme istituzionali (“Presidente o Cancelliere?). Un Cossiga quello di
sabato sera che l’opinione pubblica conosceva già a menadito, perciò capiva al volo e approvava a
stragrande maggioranza. Per l’ultima picconata.
Come ha reagito “L’Unità”, ieri organo del Pci, oggi giornale del Pds? Titolo: “Che differenza con il
passato, che frattura, purtroppo, tra questi contenuti e la precedente strategia di Cossiga”.
liberaldemocratica,
Qual è l’interpretazione di “Repubblica”? Titolo; “E alla fine ha capito.” Nel testo: “Con il Francesco
Cossiga che ha parlato dagli schermi alle sei di ieri pomeriggio noi, che negli ultimi due anni gli
siamo stati aspri avversari, consentiamo quasi interamente. Il “quasi” riguarda del resto non la
sostanza, ma soltanto lo stile”.
Noi non abbiamo mai creduto alle tesi del “complotto” contro Cossiga né trasversale né di lobby né
tantomeno di giornali. Continuiamo ad escluderlo, ma per la prima volta ci ha assalito un dubbio.
Strano. I sostenitori della sua incriminazione per attentato alla Costituzione danno interamente
ragione a Francesco Cossiga soltanto il giorno in cui toglie il disturbo e, per motivare la virata, fanno
passare per politicamente inedito quanto il Presidente ha in realtà detto o urlato mille volte e scritto
nelle 60 cartelle di un messaggio accolto l’anno scorso dal Parlamento con sfottente indifferenza.
Ha ragione Cossiga a rivolgersi ai giovani. Questa politica, così come sta, è irrimediabilmente
vecchia. Anche nell’informazione.