1992 gennaio 27 Ma non spetta a noi scegliere

1992 gennaio 27 – Ma non spetta a noi scegliere

A 70 giorni dalle elezioni, la domanda più insistente è già questa: d’accordo, scegliamo tra i candidati
con particolare rigore; usiamo il voto di preferenza, nome e cognome, con un’attenzione ben superiore
al passato; cerchiamo di reagire al disfattismo selezionando il più possibile il nuovo Parlamento. Ma
chi ci aiuta ad essere più esigenti, giudicando in via preventiva i candidati?
I cittadini che si pongono tale quesito hanno ragione da vendere o, meglio, sono i più responsabili.
Appartengono a quella categoria di persone che sa benissimo come la democrazia sia una fragile
creatura del pensiero occidentale, che non va mai abbandonata ai suoi automatismi. Ciascuno deve
versare il proprio obolo, di tenacia e partecipazione.
Dovremmo andare tutti a rileggere la pagina di Paltone, perché 24 secoli fa spiegò ciò che dovremmo
sapere soprattutto oggi. E cioè che quel po’ di giustizia si costruisce nello Stato o in nessun altro
luogo. Dato che ci pare irrealizzabile affidare il governo ai filosofi – come suggeriva il pensatore
greco – non rimane che favorire al massimo chi offre indizi di razionalità, di servizio, di resistenza
alla corruzione del potere.
Ma non spetta ai giornali compilare le liste di proscrizione o di benemerenza. Si trasformerebbero in
giornali-partito, diventando a loro volta surrogati di un potere che l’informazione non deve
rivendicare.
La qualità della democrazia si misura anche attraverso l’equilibrio tra ruoli diversi. Le invasioni di
campo sono tipiche dei momenti di discussione di riforme. L’unica riforma l’ha introdotta il
referendum sulla preferenza unica, detestata dagli apparati di partito abituati a giocare con i numeri
sulle schede come con le tessere fasulle.
Lo sfascio è finito. Si placa una fase benemerita della vita italiana, durante la quale una ventata di
protesta popolare e di scollamento istituzionale ha permesso di mettere a nudo il sistema. Senza
pudori e senza pietà: i primi avrebbero favorito il Palazzo; la seconda avrebbe fatto il gioco dei furbi.
Gli sfascisti come noi hanno impedito che vincessero i gattopardi della conservazione.
Adesso la parola ritorna ai cittadini. Fra due mesi esatti entreremo nei seggi elettorali con una dose
inusitata di entusiasmo. Perché sarà arrivato il momento di ricostruire; un processo lungo, a più tappe,
molto tormentato, ma innovatore come non mai. Riuscendo a scegliere con puntiglio i candidati
affidabili presenti in ogni partito, avremmo già fatto una mezza rivoluzione; se poi votassimo soltanto
candidati credibilmente impegnatisi in questi anni nei referendum riformisti, allora avremmo
esautorato almeno mezza partitocrazia. Quella fondata sui portaborse, i tirapiedi, gli intrallazzatori
pubblici e privati.
E’ il momento di essere molto esigenti: solo la politica permette di giudicare gli uomini senza tormenti
esistenziali. Parlando del partito socialista francese, il premier Mitterrand, ha fatto questa diagnosi:
“Abbiamo una crisi di languore”. Il nostro Paese patisce una crisi più acuta, di rigetto. Non è vero
che ha perso ogni energia per reagire; finché c’è l’indignazione c’è speranza. E l’Italia, forse anche
disordinatamente, indignata come oggi non è mai stata.
Ma si può ricostruire soltanto a patto di stare sui problemi, uno ad uno, con precisione, rifiutando i
polveroni, i programmi generici, i mille depistaggi dalla realtà di tutti i giorni. Non vorremmo che,
per evitare alla chetichella le urgenze della vita quotidiana degli italiani, i 60 giorni di campagna
elettorale si esaurissero a colpi di dossier, di gladio, di Togliatti e di ulteriori reperti di un passato
remoto. Che cosa abbiano rappresentato il comunismo, lo stalinismo, gli intellettuali prestati al
comunismo, i tanti servilli e infidi Togliatti di turno, lo sappiamo da un pezzo.
Il 5 aprile si vota per cambiare, non sugli incubi di Achille Occhetto.