1992 giguno 22 Primo il fatto morale

1992 giugno 22 Primo, il fatto morale

Giuliano Amato dovrà ricordarsene ogni giorno: il suo Governo durerà pochissimo se non terrà la
questione morale in prima pagina. Come questione preliminare, politica.
Anche perché bisogna cogliere fino in fondo l’occasione offerta dallo scandalo delle tangenti. Quando
un Paese dimostra la capacità di reazione di queste ultime settimane, dai giudici ai giovani,
dall’imprenditoria sana alla base popolare dei partiti, dalle forze cattoliche alla cultura laica, vuol dire
che non ha esaurito le scorte di indignazione. Dunque, di voglia di ricostruire.
Accanto al cinismo degli irriducibili, lo scandalo sta svelando crisi di coscienza di straordinario
spessore umano. I casi sono molti, citiamo l’ultimo. Dopo dodici ore di confessione al giudice Di
Pietro, il dirigente nazionale della Dc e vicepresidente della società che gestisce gli aeroporti di
Malpensa e Linate, Roberto Mongini, ha spiegato ai giornalisti: “Mi sembra ovvio che questo sistema
e questa classe politica siano finiti. Quando crolla un sistema, cadono anche i protagonisti. Io mi sento
ancora un democristiano, certo. Ma la mia carriera politica finisce qui. Bisogna provare anche il
carcere per capire la vita. Noi politici non l’avevamo capita”.
In mezzo a tanti pubblici parassiti, ladri in auto blu, ipocriti, trasformisti, perbenisti con i conti cifrati
in Svizzera, esponenti che non vedono, non sentono, non sanno, a un politico così varrebbe la pena
di restituire persino la carriera.
Ma non è questo il punto; la lezione che ne deriva sta tutta in quell’onesto trarre le conclusioni di un
sistema disonesto. Sia pure a scoppio ritardato, una prova di responsabilità personale e politica.
L’esatto contrario di quanto sta prendendo corpo all’orizzonte, attraverso un sempre più sospetto
richiamo alla paralisi delle opere pubbliche legate agli appalti.
Chi ha violentato per anni le già timide regole, ora ne pretende a gran voce di nuove e ferree in quattro
e quattr’otto sbandierando l’alibi del blocco di un settore strategico per l’economia.
Al danno si aggiunge danno. Prima le opere pubbliche o non cominciavano o non terminavano mai
sotto la pressione del malaffare; ora si fermano come se nessuno fosse più abituato a operare in
trasparenza.
Attenzione. Qui si rischia che fra qualche anno i disservizi e la carenza di infrastrutture di oggi
vengano addebitate all’effetto Di Pietro. E che quanti si battono ora per la questione morale siano
incolpati domani di aver irresponsabilmente interrotto i lavori in corso.