1992 giugno 14 L’ultimo botto senza rimpianti
1992 giugno 14 – L’ultimo botto, senza rimpianti
Benvenute tangenti. O, a scanso di equivoci, benvenuta la loro scoperchiatura di massa. Andiamo a
ritroso con un’ipotesi. Mettiamo il caso che il ceto politico si fosse trovato di fronte a una sola, per
quanto pesantissima, incombenza: le riforme, sia per rendere più efficienti le istituzioni sia per sfruttare
al meglio il voto popolare. Con lentezza, tra mille resistenze e volpinità, se la sarebbe cavata. Di
emergenza in emergenza da un lato, di rinvio in rinvio dall’altro, avrebbe finito con lo stancare il Paese.
Astensionismo al Sud, leghismo al Nord, ma anche un ceto politico sotto sotto convinto che prima o
poi gli italiani si sarebbero stufati perfino di protestare o di defilarsi. Non era bastato il botto dei
referendum di Mario Segni; forse non sarebbe bastata nemmeno la lezione elettorale del 5 aprile.
L’ultimo detonatore – le tangenti – non dà più scampo al sistema. All’improvviso, il cerchio si stringe.
Anche se viviamo una stagione terribilmente complicata, cominciamo a vedere molte cose con
chiarezza. La democrazia bloccata dalla paura del comunismo aveva via via ossidato una casta di
potere, quell’esercito di persone che bazzica la politica per mestiere. Cessata la paura, gli elettori hanno
cominciato a smantellare il vecchio patto. Finché lavorava indisturbato, il sistema rappresentava una
cuccagna per il partito degli affari, sempre più spregiudicato negli ultimi vent’anni perché garantito
dall’impunità elettorale. Tutti sapevano, tutti si lamentavano, nessuno aveva la forza o il coraggio di
buttare la sabbia nell’ingranaggio. I Chiesa e i Ferlin non sono figli di nessuno, portatori di borse vuote.
Sono i gregari, frutto di una cultura che scarta l’idea dello Stato. Quando li arrestano, i Chiesa e i Ferlin
sorridono; non hanno l’aria di stupirsi troppo come se in fondo si trattasse di rischi professionali. Vuoti
a perdere di un gioco – questo sì! – con regole molto precise. Lo smascheramento delle tangenti,
soprattutto in zone all’avanguardia in Europa come la Lombardia e il Veneto, ha messo allo scoperto
una concezione del potere. Le responsabilità individuali andranno accertate in sede processuale, ma
risalta già con evidenza quella che un costruttore padovano ha denunciato come «legislazione
concussiva» e che il giudice Di Pietro ha paragonato all’inquinamento ambientale. Dopo le tangenti,
appare più difficile anche il trasformismo. Nulla sarà più come prima. Scompaginando gli assetti di
decenni, il 5 aprile ha favorito le inchieste dei magistrati; il lavoro dei giudici dà spessore a quella
protesta politica. Al circuito perverso si sta opponendo un circuito virtuoso. Alla lunga, l’eruzione delle
tangenti aiuterà il nostro Paese a uscirne perché ci risparmia ulteriori perdite di tempo. Ha spalancato
gli occhi a tutti, mostrando che i cerotti non bastano più. Cresciuto anche per disattenzione sociale e
opportunismo economico, questo sistema ha bisogno di una cura energica, in profondità, capace di
mobilitare ogni risorsa civile; dai laici ai cattolici, per un comune appello al prestigio della Politica. I
politici per bene sono angosciati; i buoni amministratori frustrati dall’ondata di sfiducia collettiva. La
partitocrazia ha inquinato sia i partiti che le imprese, barattando servizio con l’interesse. Pagando un
prezzo altissimo, oggi sappiamo che il peggio è alle corde. Facciamolo finire senza rimpianti, e
ricominciamo senza complessi, con tenacia, giorno su giorno.
14 giugno 1992