1992 giugno 28 La grande bugia
1992 giugno 28 – La grande bugia
Maro Segni ha detto: “O la Dc riparte da zero o me ne vado”. Come gli hanno risposto il vicesegretario
nazionale e il direttore del quotidiano del suo partito?
“Uno in meno”, il commento di Silvio Lega. “Gli scissionisti sono passati, la Dc è rimasta”, quello
di Sandro Fontana.
Non c’entra soltanto la Dc. I partiti continuano imperterriti a non capire; pensano di guadagnare
tempo sul 5 aprile: trattano da ingrati quanti si danno da fare per rifondare dalle radici queste
autentiche Spa della politica di professione.
Eppure, basta guardarsi in giro soprattutto nel Nordest per rendersi conto che la base è un magma:
qualcosa di ancora confuso, ma che nessuno riesce più a irreggimentare, tanto nella Dc come nel Psi
e nel Pds. Un sacco di giovani sta uscendo allo scoperto; molte donne sono in primissima fila
dimostrandosi più lucide nell’intuire che così non si può più andare avanti.
Il giorno in cui questi fili per ora dispersi riusciranno a intrecciarsi insieme, la vecchia nomenklatura
si ritroverà dalla mattina alla sera in pensione. La spinta dei riformisti, i voti punitivi, i giudici non
rinunciatari: in questa fase della democrazia italiana non abbiamo altri strumenti per dare almeno una
sterzata.
Ben sapendo che quanto sta emergendo a Milano o nel Veneto rappresenta meno della punta
dell’iceberg. A questo proposito, vi chiediamo la cortesia personale di leggere fino in fondo il servizio
che qui riporta alcune dichiarazioni di Roberto Mongini, membro della direzione nazionale Dc e
vicepresidente della società che gestisce gli aeroporti milanesi.
Ha spiegato la spartizione tra cinque partiti, Pci o Pds compreso; ha elogiato i giudici ma si è
rammaricato con loro per essere arrivato troppo presto, con appalti per “soli” 250 miliardi: “Se
aspettavate qualche mesetto – ha detto loro – avreste trovato un bel malloppo”. Uno scenario che
lascia mortificati quanti credono nel lavoro, nella politica, nella crescita della società dei cittadini.
La rabbia è tuttavia pericolosa se non si accompagna alla razionalità. E allora dobbiamo esigere che
i Di Pietro d’Italia continuino fino in fondo, secondo giustizia e legge ma fino all’ultimo gradino.
Stando alle segreterie nazionali e agli apparati, un fiume di denaro si sarebbe semmai fermato a
Mongini, addirittura a portaborse di periferia, come i Ferlin o a poveri cirenei della tangente come i
Munaretto di turno. Questa colossale bugia protegge ancora i veri inquinatori dei partiti. E’ un
miracolo se i giudici ce la faranno a stanarli.