1992 giugno 7 Di Pietro e Romiti

1992 giugno 7 – Di Pietro e Romiti

La rifondazione del nostro Paese ha due facce, una politica, l’altra penale. Non illudiamoci di poter
dare regole se non ripuliamo almeno parzialmente il Palazzo dai ladri. Che non sono, si badi bene,
ladri di polli ma sistema di gestione che fa a pezzi il senso dello Stato, la funzione pubblica, la libera
concorrenza, l’etica dell’impresa.
Se il dramma italiano è insieme politico e penale, il giudice Di Pietro e il leader referendario Mario
Segni non possono che dire le stessissime cose soprattutto quando incontrano i giovani imprenditori,
per definizione proiettati sul futuro e sulla costruzione di nuovi patti. Di Pietro si appella alla
coscienza della sana imprenditoria perché isoli e denunci i corruttori; da politico, Segni va più in là
chiedendo che venga mandata a casa quella classe dirigente che ha costruito la sua fortuna pubblica
sulle tangenti.
Altro che moralismo! Questa diventa la prima, vera riforma istituzionale: spezzare il matrimonio tra
affari e politica; riportare gli appalti alla luce del sole; favorire a tutti i costi gli uomini che nei partiti
sono disposti a un grande atto di umiltà per riconquistare la fiducia popolare. Il caso-Milano diventa
una benedizione perché cancella ogni dubbio e ogni ambiguità; a prescindere dalle risultanze
processuali, ha già svelato una cultura. Anzi, l’unica cultura dominante, spartitoria, onnicomprensiva,
che non risparmia niente e nessuno per finanziarsi e corrompere il consenso.
Lascia a questo proposito molto perplessi la risposta data ieri a Di Pietro dall’amministratore delegato
della Fiat: “Credo che mentre si giudica – ha dichiarato Cesare Romiti – non sia lecito giudicare un
intero sistema”.
Falcone ha pagato cinque vite, la sua, della moglie e della scorta, per essere stato il giudice che – al
di là delle responsabilità individuali da provare processualmente – aveva messo a nudo la mafia come
sistema, come cupola, come intreccio di tanto denaro e di troppe convenienze. Che dovrebbe fare un
giudice come Di Pietro? Chiudere gli occhi? Considerare le decine di posizioni personali agli atti non
ancora né indizio né prova di degenerazione ambientale? Per questo è stato accusato di neo-stalinismo
da un legale di Enzo Papi, l’uomo della Cogefar, gruppo Fiat?
Alla freddezza di Romiti, noi preferiamo di gran lunga il caloroso applauso tributato dai giovani
imprenditori tanto a Di Pietro quanto a Segni. Buon segno.