1992 maggio 26 Non è una scelta politica
1992 maggio 26 – Non è una scelta politica
Non è una scelta politica. La chiamano istituzionale, nel senso che constata l’impotenza dei partiti e
delle loro formule. Nasce anche nell’emergenza dello Stato. Oscar Luigi Scalfaro entra al Quirinale
nel momento più buio della storia repubblicana.
E’toccato a lui, poteva toccare a Spadolini. Un Parlamento stremato ha votato ieri come avrebbe
potuto già due settimane fa, risparmiandosi un logoramento che getta ombre lunghe sul futuro
Governo. Il quadripartito si è arreso; la sinistra diserta. Per ora, il voto popolare del 5 aprile ha
scompaginato la partitocrazia senza realizzare un nuovo patto.
Un paradosso segnala questa fase di ricerca e di sbandamento: il Parlamento vota un democristiano
quando la Dc attraversa la crisi più acuta del dopoguerra, rischiando smembramenti e spinte
conservatrici nonostante il grande patrimonio popolare e solidaristico. E Scalfaro è un democristiano
molto scomodo, senza riguardi per nessuno, a cominciare dal suo partito. In ciò, soltanto in ciò,
assomiglia a Cossiga.
Scalfaro assume la carica di Capo dello Stato quando lo Stato deve cambiare. A ricordarcelo con
l’evidenza della tragedia umana e civile è quel giudice sepolto ieri a Palermo, poche ore prima del
voto a Montecitorio. Se i simboli sono legittimi, Giovanni Falcone lo è più degli altri, come ben sa
Oscar Luigi Scalfaro.
Ha detto Rudolph Giuliani, ex-procuratore federale di New York, bestia nera di Cosa Nostra, amico
personale di Falcone: “Per schiacciare la mafia occorre prima di tutto la volontà politica”. Se riuscisse
a tenere giorno per giorno sulla corda l’opaca, ambigua, esitante “volontà politica”, Scalfaro
adempirebbe a un ruolo che, pur non scritto negli articoli della Costituzione, di sicuro l’Italia avverte
come la premessa di ogni decente azione di governo.
Oscar Luigi Scalfaro diventa Capo dello Stato quando gli italiani si sono fatti molto più esigenti con
il Quirinale. Il nuovo Presidente della Repubblica non passa per un gran riformista, nel senso che
crede più negli uomini che nelle Istituzioni, più nella rivoluzione dei comportamenti che nel
cambiamento delle regole. Ma facendo precedere la politica dall’etica, ha tutte le carte in regola per
contribuire alla rifondazione sia della politica che della Repubblica.