1992 maggio 4 E a Nordest?
1992 maggio 4 – E a Nordest?
Il procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli ha fatto un’analisi molto
importante, che fa sperare e contemporaneamente temere: «L’inchiesta – ha dichiarato al settimanale
“Espresso” – è nata da uno scivolone commesso dall’ingegner Mario Chiesa. È poi cresciuta grazie ad
un clima nuovo e particolarmente favorevole dovuto forse, in parte, alla congiuntura elettorale, forse
anche alle picconate che, in vario modo, si sono abbattute sul sistema dei partiti. Ma soprattutto alla
sensazione di stanchezza, se non addirittura di nausea, che si è diffusa nella collettività di fronte
all’occupazione sistematica e predatoria di alcuni settori pubblici da parte di ambienti politici. Questo
mix di circostanze favorevoli ha spinto molti imprenditori a liberarsi dalla schiavitù della corruzione.
Per questo occorre muoversi in fretta, prima che lo spiraglio si chiuda. Se c’è un sospetto – ha concluso
il magistrato – e Dio me ne perdoni, è che una volta che si sia ricostituito un assetto politico-
istituzionale, si ricrei la complicità tra le imprese di alto profitto e gli alti livelli della politica. In questo
modo si riuscirebbe a tappare ogni possibile sbocco alle nostre indagini». Dobbiamo esser grati a
magistrati di questo tipo, seri, poco appariscenti, meticolosi, implacabili ma non settari, ligi ai codici
non ai pregiudizi personali. Del tipo del sostituto procuratore Antonio Di Pietro, un abruzzese riservato
e senza riguardi per i ladroni del Nord. A Milano, questi giudici stanno scompaginando la banda dei
colletti bianchi. Un sistema che ha teorizzato lo Stato come affare, l’opera pubblica come
finanziamento occulto, il potere come accumulatore di denaro. I protagonisti? Politici, amministratori,
imprenditori, funzionari, professionisti. I pagatori finali? I contribuenti, attraverso il sovrapprezzo della
corruzione istituzionale. Non si può che definirla così quando le sue proporzioni superano di gran lunga
la soglia fisiologica di ogni gestione di potere e quando i suoi attori la possono esercitare per decenni in
una situazione di quasi impunità. Il voto libero del 5 aprile ha picconato l’omertà; fa crollare
consolidate complicità; crea il panico. Ma ha ragione il magistrato milanese: «Bisogna fare in fretta»,
prima che gli affaristi ricompongano il fronte e stipulino un nuovo patto.
L’opinione pubblica, le forze riformiste, la protesta popolare, i partiti disposti ad azzerare la
partitocrazia, magistrati indipendenti, i giornali liberi: tutti assieme non dobbiamo più mollare l’osso.
Mai come adesso si può cambiare, incalzando il Palazzo, non lasciandogli il tempo di riorganizzarsi.
Viviamo in Italia una fase esaltante, di resa dei conti con il meglio e il peggio della democrazia. Gli
uomini, le leggi, il consenso per ricostruire non mancano affatto. Ma, come andiamo dicendo da anni su
questo giornale che ha una Proprietà ben visibile non padroni o padroncini occulti né amici degli amici,
occorre insistere senza accettare i ricatti. Dietro la loro governabilità, dietro la loro esperienza, dietro il
loro perbenismo, si nasconde troppo spesso l’interesse privato in atti di ufficio, la ricettazione di risorse
pubbliche da parte di un sistema di potere talmente consolidato da costituire un’attrazione fatale anche
per le opposizioni. Ha fatto notare il magistrato milanese: «Molti imprenditori si stanno liberando dalla
schiavitù della corruzione». A decine si offrono ora di parlare ai giudici di Milano. E noi ci chiediamo:
nel Veneto, nel Nordest, dove galleggiano altre inchieste d’altissimo bordo e dove la frase più
frequente in bocca alla stragrande maggioranza delle forze produttive è che «non se ne può più» della
concorrenza slealmente basata sulla tangente, nessuno ha qualcosa da denunciare, ai giudici a noi, cioè
all’opinione pubblica? Dove prevalgono i corrotti e i corruttori, questa la chiamerebbero delazione;
dove prevale la responsabilità civile, si chiama servizio alla comunità. Si può fare il proprio dovere
oggi per rivendicare domani il merito di aver rifondato una democrazia più giusta. Capace soprattutto
di farsi amare per sempre dai giovani.
4 maggio 1992