1993 dicembre 24 Mai tante promesse

1993 dicembre 24 – Mai tante promesse
Politicamente siamo nel limbo. A forza di evocare il “nuovo”, un sacco di gente crede di averlo già
conquistato. Ma restiamo con i piedi per terra. Qui di nuovo c’è ancora pochissimo, se facciamo
eccezione per una manciata di sindaci. Le Istituzioni restano più che mai figlie di un sistema che non
c’è più, si fondano su un consenso da tempo revocato. Ciò vale per il Parlamento e per lo stesso
Scalfaro. Vale per le Regioni, con la loro cascata di sottopotere: dovrebbe far riflettere il caso del
Friuli-Venezia Giulia dove le giunte si fanno e si disfanno per lo scontro sulle nomine di tutta una serie
di enti. Le privatizzazioni sono appena agli inizi, sul fisco e sulla burocrazia siamo ancora alle
enunciazioni di principio. Non parliamo poi del federalismo, che rischia di diventare una parola
consumata almeno quanto “solidarietà” e “trasparenza” prima ancora di avere contenuti. Ma l’Italia
d’oggi non è un limbo di anime morte; assomiglia di più a un laboratorio, alla bocca di un vulcano che
ha ripreso l’attività dopo anni e anni di sonno. Importante è dare argini alla lava. Il momento della
verità si avvicina a marce forzate dopo la definizione dei collegi elettorali e l’approvazione della legge
finanziaria. Chi frenava, ha dovuto cedere all’opinione pubblica che a questo Parlamento chiede
soltanto la dignità del congedo. In fasi come questa l’opinione pubblica è tante cose assieme, ma la si
respira nell’aria come una cosa sola. Il voto, la partecipazione, l’informazione senza padrini, il
volontariato politico, le campagne elettorali finalmente austere, i movimenti che nascono come funghi,
la passione di tanti ragazzi che hanno scoperto la voglia di sapere in che Paese vivono. Anche
l’opinione pubblica dei simboli, come un Di Pietro, con quella sua forza fisica che sembra dare corpo e
sangue al grigiore dei codici, degli azzeccagarbugli, degli impostori. Chi crede di aver già il traguardo
in tasca, sbaglia però di grosso. Nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, è piombata di
colpo sul tappeto una questione grande come una casa, che fino all’altro ieri sembrava rimossa:
l’affidabilità di chi dovrà guidare il governo del dopo Tangentopoli e del dopo regime. Il dopo
dell’economia dove tutto risultava imbastardito: mercato, concorrenza, pubblico, privato. La domanda
di affidabilità non risparmia nessuno, né destra né sinistra né centro. C’è ancora un’Italia che non riesce
a consegnarsi mani e piedi ai programmi perché sente in circolazione l’ultimo puzzo – se non di
ideologia – di vecchio settarismo. Insomma, resta ancora diffidente e chiede credenziali sia al Pds che
alla Lega, all’Msi come a Berlusconi o al nascente cartello moderato di Segni & Bindi. Tutti avranno
qualcosa da chiarire. Dove si ferma la sinistra del Pds? Dove fissa la Lega il confine della sua poderosa
funzione di rottura? Che cosa intende I’Msi per destra di governo o Berlusconi quando lancia il
manifesto dei moderati? In che consiste l’arma di Segni & Bindi nel vuoto lasciato dalla Dc? Dal 1945
in poi non si era mai visto un Natale così carico di promesse.
24 dicembre 1993