1993 febbraio 13 È morto Lauro Bergamo

1993 febbraio 13 – E’ morto Lauro Bergamo

Lo tirai giù dal letto che saranno state quasi le due di notte. Chiamavo da Monaco di Baviera per
dirgli che il sequestro degli atleti israeliani da parte di terroristi arabi di Settembre nero si era concluso
in un massacro.
Bisognava buttare al macero il giornale ancora caldo di rotativa. Andava rifatto tutto, sennò al mattino
i lettori avrebbero acquisito notizie già vecchie.
Direttore di quei primi sei anni Settanta, Lauro Bergamo s’improvvisò – con uno sparuto gruppo di
giornalisti e tipografi – impaginatore, correttore di bozze, centralinista, nella grande tradizione
artigiana di un quotidiano che a Palazzo Faccanon doveva difendere le bobine di carta dall’acqua alta.
La cronaca, i fatti, le storie di provincia, da sempre rappresentavano l’anima di un giornale popolare
ma anche la scappatoia dal riferimento politico. Era dura dirigere quel Gazzettino per sempre
archiviato soltanto nel 1983, allora proprietà privata di un pezzo di Dc, feudo di Rumor e di Bisaglia,
“fabbrica del consenso” nel Veneto della prima malsana equazione tra politica e potere.
Ha scritto Gianpaolo Pansa in un libro di una ventina d’anni fa: “Il nuovo direttore Bergamo tenterà
di destreggiarsi tra i vari notabili della regione”. Un autentico slalom, che gli poté riuscire avendo le
spalle larghe come professionista, tempra sindacale, una buona riserva di ironia, la scrittura mai
genuflessa.
Era un uomo curioso, allegro. Dalla guerra, si era portato via una inestinguibile nostalgia d’Africa.
Amava Venezia alla follia, ma detestava quelli che lui definiva sprezzantemente “ortaggi veneziani”,
gente interessata soltanto a conservare il posto al sole, senza un milligrammo di generosità.
Ha dimostrato un coraggio da leone. Contro il cancro, il suo cobalto era la voglia di vivere, e forse ce
l’avrebbe fatta se due anni fa, nel mare dell’Indonesia, la puntura di un pesce velenoso non gli avesse
ucciso il figlio, a 34 anni neoprofessore universitario alla Sorbona di Parigi. “Da questo momento
posso soltanto sopravvivere, vivere non più”, scrisse su un foglietto.
“Non c’è niente di nuovo sotto il sole” è l’ultima riga del suo ultimo pezzo uscito in questi giorni sul
mensile “Marco Polo”, da lui ideato e diretto. Niente di nuovo sotto il sole: Lauro Bergamo aveva già
consumato su di sé il tempo provvisorio del successo e il tempo infinito del dolore.