1993 febbraio 26 Lo Stato ritrovi il rispetto dei cittadini
1993 febbraio 26 – Lo Stato ritrovi il rispetto dei cittadini
Ci sono due Italie. L’Italia del finalmente e quella del non se ne può più.
Con la prima prevale il senso di liberazione; con la seconda il senso di prostrazione. Le due Italie,
spesso mescolate l’una con l’altra, hanno in comune la certezza che l’ultimo ventennio è stato persino
peggiore di quanto temesse.
Ha ragione il neo ministro Costa quando ricorda che, come le tempeste, anche le rivoluzioni non
durano in eterno. La nottata della Repubblica passerà.
Non siamo allo sbando finché disponiamo di punti di tenuta. Come il Quirinale che, da Cossiga a
Scalfaro, sta dalla parte dell’opinione pubblica: il “popolo”, per dirla con l’articolo 1 della
Costituzione.
I giudici che, a partire dal Lombardo-Veneto, hanno dato coraggio alle Procure di larghissima parte
del Paese. La generazione dei Di Pietro è per la corruzione quello che per la mafia furono i Falcone.
Nei giorni scorsi, a un anno dall’inchiesta Mani Pulite, il procuratore di Milano Borrelli ha dichiarato:
“La magistratura ha potuto svolgere il proprio lavoro, al di là di marginali polemiche, senza incontrare
ostacoli o subire tentativi di condizionamento”. Quando la pressione popolare riesce a garantire a
giudici e carabinieri l’applicazione della legge senza riguardi né per i ministri né per capitani
d’industria, si dimostra che un Paese è tutt’altro che in ginocchio.
Anche perché un sacco di gente sta scoprendo il dovere della politica. E il mondo del lavoro e di
milioni di imprese sa benissimo di giocare una partita davvero storica: tenere in pedi l’economia per
dare allo Stato il tempo di ritrovare il rispetto dei cittadini.
Uno dei primi a raccomandare con forza che i giudici dovevano andare fino in fondo è stato Giorgio
La Malfa. Non può non continuare a ribadirlo oggi, pena l’archiviazione della sua orgogliosa utopia
sul “partito degli onesti”.
La Malfa non ha fatto né il Craxi né il Citaristi. Ha imitato Martelli dimettendosi contestualmente
all’avviso di garanzia.
C’è qualcosa di malsano e di khomeinista nell’automatismo tra avviso e dimissioni, quasi che nella
patria del diritto l’essere indagato equivalga all’essere condannato. Ma La Malfa, unico tra i segretari
di partito, si è reso conto che esistono oggi due verità parallele, una giudiziaria e una politica. Con la
prima saranno accertate responsabilità personali, ma soltanto sulla seconda si ripristina la credibilità.
Oltre che banale, è sbagliato fermarsi al dettaglio delle contestazioni, magari misurando la loro portata
sull’entità delle somme in campo. Quindi adottando un criterio puramente contabile per lo scandalo
più politico che una democrazia abbia mai registrato.
Non si salva più nessuno perché, se l’illegalità dei finanziamenti ai partiti assurge a norma, i
meccanismi diventano più forti degli uomini. Pezzo a pezzo, dalle immense ruberie fino alle marginali
irregolarità, un’intera gestione del potere si arrende ai giudici.
I quali, forse, non hanno più nemmeno bisogno di indagare in senso tecnico. Come se di colpo,
interpretando il comune senso del cambiamento, si ritrovassero a verbalizzare un passato già remoto.
A sua insaputa il governo Amato ha una sola forza, quella del simbolo. Lo montano e lo smontano
come un giocattolo, buttando via di volta in volta parti scomode, superate, compromesse. Sarà così
anche per il nostro drammatico verso il nuovo.
Ci sarà un altro 18 aprile. Mezzo secolo fa l’Italia scelse l’occidente; fra 50 giorni, con il referendum,
scatterà la seconda ricostruzione.
Forza, non è la fine del mondo.