1993 gennaio 7 Senato. Oggi si cerca un accordo
1993 gennaio 7 – Senato. Oggi si cerca un accordo.
E’ un po’ come per la legge elettorale. Non ne esiste una ideale, buona per tutte le democrazie, da
adottare ad occhi chiusi, per sempre. Dipende dalle situazioni, dai tempi, dall’evoluzione di un
sistema politico; oggi, nell’Italia super frammentata, l’aritmetica proporzionale non regge più. Il che
non esclude che fra vent’anni si possa ritornare sui propri passi, sotto la spinta di nuove esigenze nel
rapporto tra chi vota e chi lo rappresenta in Parlamento.
Il brutto è che tutti sono d’accordo nel recitare il de profundis delle ideologie, ma si tuffano poi in
settarismi ancora più angusti di quelle. Caduto a Berlino il Muro del secolo, ciascuno erige i suoi
meschini muretti di cartapesta.
Sta accadendo così anche per il finanziamento dei partiti. Manca la formula magica, le democrazie
occidentali possono offrire esempi, non ricette da esportazione. Ciascun Paese dovrebbe dunque saper
vedere almeno una spanna più in là del naso; cercare di capire quali scelte servono a migliorare il suo
sistema. E, in Italia soprattutto, rompere gli steccati di partito nel nome di uno sforzo comune. Come
dire, dettiamo regole di buon senso per poter giocare la partita della democrazia radicalmente
riformata.
Scalfaro ha parlato a fine anno di “apporti privati illeciti” e di “volontariato” per consentire ai partiti
di autofinanziarsi. Con puntiglio e coerenza, Pannella è il solo ad essersi sempre battuto contro il
finanziamento pubblico invocando piuttosto l’elargizione da parte dello Stato di alcuni servizi e
rimborsi. Nel nome della sobrietà.
Su questo zoccolo duro, l’opinione pubblica ha consolidato anche altre idee, ma chiarissime. Non
sono tollerate amnistie o sanatorie; è opportuno favorire anche fiscalmente i contributi spontanei,
come accade negli Usa; nessuno deve fermare la magistratura. Quanto alla corruzione, l’eventuale
condono del carcere dovrebbe più che mai coincidere con la restituzione del bottino e – come ripetono
da tempo il giudice milanese Colombo e il veneto Nordio – con l’esclusione perpetua della vita
politica.
Pena quest’ultima che la partitocrazia considera infinitamente più punitiva della stessa galera e che,
più di un’ondata di detenzioni o di arresti domiciliari, contribuirebbe a liberare la politica dalla Banda
Bassotti tuttora dominante. Sarebbe ora di darsi un criterio di lavoro: sono giuste le norme che
favoriscono la fine del regime; nefaste quelle che lo riciclano senza intaccarlo. Tutto qua.
E’lo stesso destino delle riforme in mano a De Mita. Non camminano.