1993 giugno 13 Cinque punti forti

1993 giugno 13 – Cinque punti forti

Leggiamo questa progressione.

1) Con tutti i limiti del caso, Ciampi e i suoi ministri senza passato ministeriale dimostrano che

il ceto politico non sarà un dramma. Anzi, l’Italia dispone, fra i tecnici e le forze politiche
emergenti, di un patrimonio tutto da scoprire e da galvanizzare.

2) Assieme ai ferri vecchi del passato, scompare anche l’equazione tra cattolici e democristiani.
Gran parte dei Vescovi ha per sempre archiviato quel ruolo moto datato di prefetti della Dc.
3) A ondate successive, il voto popolare scardina ogni equilibrio. Per la prima volta il risultato
lo fanno i cittadini, non le segreterie di partito; lo spirito del referendum trasloca anche nelle
elezioni amministrative e politiche.

4) In grandi e piccole città, il ballottaggio di domenica prossima promette una straordinaria
flessibilità degli italiani. Dopo mezzo secolo, cambia radicalmente un’intera cultura ma i
testa a testa tra candidati hanno finito con l’esaltare non con lo sconcertare la politica. Da
Milano a Belluno, la scelta sarà determinata da questi due atteggiamenti: da una parte, chi
voterà a sinistra “pur di non” votare Lega; dall’altra, del tutto speculare, chi voterà lega “pur
di non” votare per la sinistra o, detta in maniera molto più sommaria, per i “comunisti”. Cioè
un rifiuto più che un’opzione, un voto contro, nel quale prevale la scelta del male
considerato minore: ma questo non è un meccanismo perverso; può apparire tale soltanto a
chi ha una concezione sacrale della democrazia, quando la democrazia è invece il regno del
possibile (di governo) e della mobilità (di voto).

5) È morto infine il partito del complotto. Sì, qualcuno ci prova ancora, ma nel silenzio

dell’opinione pubblica: il panorama del malaffare e delle complicità risulta oramai talmente
conclamato che i giudici di Mani Pulite possono consentirsi il lusso di proporre ai politici la
soluzione politica! In altre circostanze, potrebbe sembrare un’invasione di campo; oggi
ratifica la fine della democrazia illegale: la legge riprende il primato, esplorando finalmente
tutti i santuari, compresi quelli giornalistici ed editoriali.

Bene.

Questa agenda in cinque punti indica che allo sbando è il sistema non l’Italia. E che proprio la
capacità di tenuta e di reazione degli italiani permette di sperare tutt’ora in una rivoluzionaria
legge elettorale prima di Ferragosto e in nuove elezioni politiche al massimo nella primavera del
1994.

Fino a ieri il Paese era in ostaggio del Parlamento, oggi accade il contrario: tra le due anomalie,
è di gran lunga preferibile la seconda perché soltanto così avremo le regole nuove. Quelle
imposte dai referendum.

Non ci impaurisce il cambiamento, che vorremmo più spedito e radicale. Gli incubi nascono
altrove, a cominciare dal dossier-Andreotti: se il campione della prima Repubblica ha in ipotesi
potuto ingannare tutti da sempre, che cosa dovremo mai attenderci – in bombe e altro – quando
quarant’anni di apparati e di potere sloggeranno dalla scena?