1993 luglio 24 Fino in fondo
1993 luglio 24 – Fino in fondo
Mentre partiva il funerale di Cagliari, Raul Gardini si tirava un colpo. Il manager di Stato e il
capitano d’industria si sono congedati nel momento in cui la chimica – della quale furono re –
avvelena Tangentopoli.
L’uovo di serpente, direbbe Bruto, va ucciso nel guscio. Ma Garofano parla, racconta fatti e
circostanze, inchioda “amici e collaboratori”, al contrario di Cagliari che li aveva protetti.
È uno scandalo da centinaia di miliardi. Nonostante la lunga latitanza, Garofano fu arrestato in
Svizzera con 48 ore di anticipo sui piani: ciò gli impedì di sistemare tutte le cose prima di
congedarsi a Di Pietro. Per il contrattempo è probabile che sia costretto a confessare più di quanto
abbia progettato.
Non si fosse ucciso, Gardini sarebbe ora a San Vittore. Ma fa torto al personaggio chi immagina che
abbia puntato la pistola alla tempia soltanto per evitare l’arresto. Se ha preferito morire, è perché
Gardini ha sempre tentato di andare fino in fondo. Per vincere o perdere, ma sempre aggredendo le
situazioni.
Tutti ricordano la sua “voglia di vivere”. Quando il vivere cambia troppo repentinamente colore,
anche la voglia può consumarsi come un cerino.
Ha scritto il biologo Henri Laborit: “Abbiamo un compito limitato, come quello di chi verrà dopo di
noi”. Gardini era di quelli che, giorno per giorno, aspiravano a succedere a sé stessi, oltre l’idea di
limite.
Lo ricordiamo, con quella faccia da pirata, una mattina a Ca’ Dario, una sigaretta dietro l’altra, i
caffè che andavano e venivano. Anche se continuava a pensare in grande, vaticinando un radioso
futuro per l’Europa e per gli affari all’Est, era ormai uno sconfitto.
Svanito il sogno di portare il centro pensante di Montedison nel cuore di Venezia storica.
Naufragata, sia pure a peso d’oro, la sfida di Enimont. Lesionata per sempre la saga familiare dei
Ferruzzi con il Gruppo del mitico Serafino già avviato verso i 31 mila miliardi di debito che oggi
rappresentano l’incubo di una sequela di banche.
Forse, aveva preso il mare con il Moro di Venezia proprio per tentare di vincere ciò che stava già
perdendo. Un surrogato dell’industriale che veniva dalla terra e che, con il piglio del “contadino,
aveva portato le scarpe chiodate nei salotti buoni della finanza.
Il suicidio di Gardini è anche una tragedia del capitalismo all’italiana. Fondato sulle Famiglie,
oligarchico, ammanettato con il potere, protetto, felice di poter dimostrare – tangente su tangente –
che ogni politico se non addirittura ogni uomo ha un prezzo.
Sulla carta, questo capitalismo era un potere forte. In realtà, era debole quanto il sistema, gigante
dai piedi d’argilla.
Al MIT di Boston si insegna management aziendale anche studiando Platone o Sofocle e
Shakespeare, perché gli americani si sono resi conto che la cultura è un capitale anche per chi
investe, rischia, cerca profitto. Il capitalismo italiano ha fatto la rivoluzione tecnologica, non quella
culturale. La fa oggi assieme al Paese, a strappi, traumi, colpe, rimorsi e speranze.
Potremmo fare letteratura sul colpo di pistola. I giocatori d’azzardo, romanzi di uomini, che al
casinò perdevano fortuna e reputazione, finendo per il restaurare entrambe con il gesto ultimo,
previsto come regola del gioco. Un Gardini spogliato, se non impoverito, ha odiato per la prima
volta il futuro. Separandosene.
Ma a lasciare il segno e il dramma politico, più che esistenziale. Mani pulite ha messo con le spalle
al muro un mondo da buttare il più in fretta possibile. Altro che stato di polizia gestito da giudici!
Le inchieste sono l’effetto non la causa della malattia. Stanno provocando la catarsi di un regime
che, incredibilmente, conserva il suo fortino soltanto in Parlamento, al riparo di ogni immunità e nel
pieno esercizio della funzione legislativa ai danni del codice penale più garantista d’Europa.
Le cronache di Tangentopoli andrebbero lette nelle scuole dell’obbligo, come storia di una
rivoluzione che prende il via dall’eclisse della legalità. Ci siamo illusi che la rivoluzione fosse una
passeggiata; anche le rivoluzioni di democrazia costano, pagano prezzi salati, sono a carico della
collettività e decidono il destino delle persone.
Raul Gardini avrebbe dovuto rispondere di accuse l’una più pesante dell’altra. Nella sua parabola di
vita e di morte, si legge il crepuscolo di un’Italia tanto vitale quanto sbagliata.
Si può, si deve ricominciare a ciglio asciutto. Con coraggio, fino in fondo.